Era rimasto schiacciato dai debiti e rischiava di essere schiacciato anche dal pensiero peggiore: farla finita. Mario (nome di fantasia), operaio cinquantenne della provincia di Bergamo, è solo l’ultimo delle persone che è riuscito a ripartire grazie alla legge 3 del 2012, quella “salva suicidi”. Aveva perso il lavoro e si era presto ritrovato sommerso dalle rate che si sommavano, da un mutuo che non riusciva più a pagare e dalle troppe fatiche della vita quotidiana: sulle sue spalle gravavano debiti per 100 mila euro, tanto che – ha raccontato l’uomo – «dormivo in auto, parlavo solo coni call center dei recupero crediti che mi martellavano tutti i giorni». In quelle condizioni, aveva pensato al suicidio.
Il “riscatto” è invece cominciato grazie alle possibilità offerte dalla legge e dal supporto di Protezione sociale italiana, ente del terzo settore che fa da “pronto soccorso sociale” per famiglie e imprese schiacciate dai debiti, operando negli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento: è questo il meccanismo previsto dalla legge per dare una via d’uscita. «Siamo arrivati ad assistere 4mila tra famiglie e imprese in un anno tra Sicilia, Lombardia, Lazio e Piemonte – spiega l’avvocato Letterio Stracuzzi, presidente di Protezione sociale italiana -: le richieste di accesso alla legge sul sovraindebitamento crescono ogni anno del 30%, e sono ancora troppo poche rispetto alla fascia di popolazione che viene colpita da questo disagio. Il fenomeno sta accelerando per via del susseguirsi della crisi, tra Covid, caro bollette, caro mutui e caro vita, mentre i salari restano fermi». Una miscela esplosiva, e così oggi «le famiglie sono su un filo: basta un aumento di 100 euro della rata del mutuo o della bolletta e cominciano a non riuscire a pagare un finanziamento, poi un altro, fino a creare una spirale pericolosa – rileva Stracuzzi -. Soffrono le persone che perdono il lavoro a causa delle crisi aziendali ma anche le partite Iva, come gli agenti di commercio e i titolari di bar, letteralmente falcidiati in questi anni».
Il caso di Mario, così come quello delle migliaia di persone che trovano una speranza grazie alla legge 3 del 2012, ha un iter ben definito, sancito da ultimo con una sentenza – in questo caso – del Tribunale di Bergamo: «Per accedere a queste procedure occorre rivolgersi agli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento, enti accreditati presso il ministero della Giustizia – spiega il legale -. Si presenta l’istanza, poi questo organismo dà una valutazione complessiva, nomina un gestore della crisi (solitamente un avvocato o un commercialista, ndr) e si costruisce un piano di rientro che dura dai 3 ai 6 anni, in cui si ripaga una parte del debito mentre una parte viene cancellata. La condizione decisiva è che il debitore non abbia creato la crisi debitoria con dolo: dopodiché, sulla base di una relazione, il tribunale decise l’ammissione a questa procedura». C’è un profondo lato umano, oltre ai tecnicismi giuridici. «La gente non immagina quale sia la quotidianità della persona indebitata – riflette Stracuzzi -. La situazione debitoria diventa totalizzante: ogni giorno queste persone ricevono chiamate sul luogo di lavoro, in casa, ovunque e continuamente, spesso con toni sprezzanti e atteggiamenti persecutori. In Italia c’è una concezione per cui il creditore dispone della vita del debitore. Ma c’è un limite a tutto, quando di mezzo c’è la dignità». Quella che Mario ha ritrovato.