Il primo incontro tra Susy Mariniello, insegnante di sostegno all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze, e il piccolo Hussein si è svolto in una sala di rianimazione. Era settembre 2023 e il bimbo iracheno, ora dodicenne, aveva appena subito il primo di tre interventi chirurgici necessari per rimediare a una grave malformazione venosa del cavo orale, della guancia, della lingua e del labbro inferiore, che gli impediva di mangiare, parlare e chiudere la bocca.
In Iraq la sua patologia non era curabile e lo ha costretto a vivere, non autosufficiente, lontano dai banchi di scuola. Oggi, dopo tre operazioni e oltre un anno di riabilitazione, Hussein ha un nuovo volto ed è tornato con la madre al suo paese di origine, distante due ore di auto da Baghdad. «Adesso – spiega la docente – sa scrivere e parlare, sia in italiano sia in arabo, oltre che fare di conto e disegnare. È sorridente e felicissimo della sua rinascita».
La segnalazione ai chirurghi del Meyer è arrivata dalla onlus “Emergenza Sorrisi”, che ha salvato Hussein da un sistema sanitario, quello iracheno, non in grado di fornirgli le cure necessarie. «In quel Paese – spiega il chirurgo plastico ricostruttivo pediatrico Flavio Facchini, a capo dell’équipe – mancano sia le conoscenze sia le strumentazioni. Quando lo abbiamo incontrato, abbiamo visto condizioni che nel mondo occidentale non avremmo mai trovato: lo avremmo certamente curato prima». Condizioni che, in Iraq, lo costringevano a rimanere in casa e a uscire, raramente, con una maschera per proteggere il suo «semivolto» (così lo descrive il chirurgo, ndr).
Prima di tutto, i broncoscopisti del Meyer hanno dovuto praticare una tracheotomia, utile ad affrontare in sicurezza le fasi successive. Dopodiché, con la collaborazione del Careggi di Firenze, hanno iniziato ad “asciugare” le lesioni interne con farmaci chemioterapici e a ricostruire il labbro e la lingua attraverso interventi chirurgici ad alta precisione. «Sono operazioni possibili solo in ospedali di terzo livello come il nostro – racconta Facchini –. Hussein ha ottenuto il 90% del risultato possibile: ora ha un viso, un labbro, una lingua, può mangiare, parlare e respirare correttamente. In Iraq dovrà unicamente sottoporsi a controlli annuali».
Durante la lunga riabilitazione, Hussein ha avuto tempo di avviare il suo primo percorso scolastico in ospedale. «È una scuola che si può portare con un carrello dentro a una camera», spiega la docente Mariniello che ha insegnato al dodicenne, con l’aiuto della madre, i rudimenti della lingua, della scrittura e dell’algebra. Partendo da presupposti difficili: «Era in una condizione estremamente scomoda su quel letto e con tutti gli apparecchi di monitoraggio collegati al corpo. Ma, quando mi sono presentata la prima volta in subintensiva, si è subito messo a sedere e ha preso il quaderno e l’astuccio che gli porgevo: sembrava che gli avessi messo il mondo in mano. Perciò, si è impegnato subito moltissimo». Prima carta e penna, poi mouse e computer. Così, in pochi mesi Hussein ha imparato a scrivere e a parlare: «Non dimenticherò mai – racconta l’insegnante – quando ha detto e scritto per la prima volta il suo nome in arabo: era emozionatissimo. Con l’aiuto dei burattini, invece, ha conosciuto il suo corpo e ha iniziato a disegnare».
Adesso abbandonare la scuola non è più un’opzione: «Mi ha videochiamata a pochi giorni dal ritorno in Iraq, il 18 dicembre – conclude la docente – Era sorridente con la famiglia e si sentiva capace di vivere in un mondo diverso da quello dei suoi primi 12 anni. Aveva davvero un volto nuovo».