Abbandonati. Un momento della protesta dei terremotati (Ansa)
Cartelli al collo e cappelli in testa. Per chiedere di ricostruire il cuore dell’Appennino centrale, ridare dignità alle popolazioni terremotate che aspettano risposte da quasi tre anni. La pioggia non sembra raffreddare la rabbia dei terremotati del Centro Italia arrivati ieri a Roma, per chiedere alla politica di passare dalle parole ai fatti. «Non ci rappresentate!». Questo il grido con cui alcune centinaia di cittadini, provenienti dai territori colpiti dal sisma nel 2016 delle Marche, del Lazio, dell’Umbria e dell’Abruzzo, sono entrate in piazza Montecitorio per raccontare che la «ferita del terremoto ancora sanguina».
Il messaggio per chi governa è chiaro. «Non c’è più tempo per i tavoli e i monitoraggi, per ascoltare e ragionare», urla dal megafono Roberto Micheli portavoce del coordinamento Terremoto Centro Italia. C’è bisogno di fatti, che significa «una normativa che va semplificata e un piano complessivo di rinascita economica dei territori». Qui infatti, molte delle realtà artigiane che lo caratterizzavano sono ancora ferme e non riescono a ripartire, perché mancano spazi e fondi per farlo. «Se fossimo banche e non persone sarebbe finita la ricostruzione», è la sintesi polemica che se ne fa su uno striscione.
Camerino, Arquata del Tronto, Tolentino, Amatrice. Accumoli. «Qui il tempo si è fermato, nulla è cambiato» – spiegano i manifestanti – ciò che è cambiato dal 2016 sono i governi e i vari commissari. Le foto dei vari premier, dei commissari per la ricostruzione che si sono succeduti e dei governatori regionali sono appesi su un lungo manifesto per indicare con nome e cognome i presunti responsabili della mancata rinascita. «Tre governi, tre commissari, un sottosegretario – la denuncia – promesse non mantenute: visite, parole, mentre la ferita resta aperta. Siamo come ci avete lasciati: soli».
Non dalla solidarietà, certo. Ma dalla politica, che si è ben guardata – dopo le visite e i selfie dei primi mesi – di tornare anche in campagna elettorale proprio nel cratere sismico. Cratere che dai primi 41 comuni si è allargato a 150, come ricorda con vena polemica un cittadino di Amatrice, Luigi De Santis, che si chiede: «Cosa ce ne facciamo dei centri di aggregazione, se non si ricostruisce? Da noi la popolazione sta perdendo il lavoro, la speranza e si rischia lo spopolamento totale». Di totale, per ora, lamentano i terremotati c’è «la latitanza» del commissario straordinario per il sisma Piero Farabollini, che «dopo i primi tre mesi di riunioni e visite sul territorio è sparito», dice ancora il portavoce del coordinamento dei comitati cittadini Roberto Micheli. A cui si aggiunge la «silente vergogna governativa» del sottosegretario Vito Crimi che – va detto – due giorni fa è stato nei territori colpiti del reatino per alcune iniziative di piccola ripartenza economica (il progetto Latte fieno ad Amatrice e l’inaugurazione dell’ostello Il castagno, sostenuto dall’Anci, ad Antrodoco).
Ma ai politici non si fanno comunque sconti, rappresentati tutti come "pinocchi" negli 80 disegni realizzati dai bambini di Camerino. Le richieste alle istituzioni sono sempre la stesse: misure mirate per l’economia e la società. A partire da «una zona franca di medio-lungo periodo» che non abbia i paletti degli sgravi fiscali finora approvati, «una semplificazione della normativa» nelle procedure della ricostruzione delle case danneggiate.
Ad oggi, infatti, il numero delle pratiche consegnate è impietoso anche per gli edifici con danni lievi: circa il 15% nelle Marche e 25% nel Lazio. Ecco perché oltre ad azioni specifiche per il rilancio dell’attività agro-alimentare che caratterizza queste montagne, vanno garantite «leggi speciali che deroghino ad alcuni vincoli» che rallentano tutto. Riorientando anche i fondi su progetti concordati con i territori, per evitare «la logica delle grande opere inutili». Anche perché «il senso di abbandono è generale – sono le parole con cui sostiene a distanza la protesta il sindaco di Amatrice, Filippo Palombini –. Aspettiamo risposte concrete dal governo e resto convinto che il decreto varato sia un’occasione mancata».