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Ora è ufficiale: nel governo e nella maggioranza ci sono due linee sul Pnrr, come sul conflitto in Ucraina. Ma se la fornitura di armi a Kiev è oggetto di distinguo velati nella Lega, che poi non trovano concretezza negli atti parlamentari, sul Pnrr invece il Carroccio, forte anche della serie di buoni risultati elettorali, lancia una proposta ben precisa: rinunciare a una parte dei fondi che l’Italia riceverà in prestito. Un’idea così dirompente nel dibattito da richiedere una smentita semi-ufficiale di Palazzo Chigi: «Non esiste», replica la premier attaverso il suo staff della comunicazione.
Sta diventando una partita ancora più complicata, quella del Pnrr. Le parole del capogruppo alla Lega Riccardo Molinari non sono casuali e sembrano ben studiate, una vera e propria linea politica: «Ho parlato con molti sindaci di Comuni piccoli e i problemi sono numerosi, ha senso indebitarsi con l’Ue per fare cose che non servono? Giusto quindi ridiscutere il piano con la Commissione europea, o si cambia la destinazione dei fondi o spenderli per spenderli a caso non ha senso. Forse sarebbe il caso di valutare di rinunciare a una parte dei fondi a debito». Palazzo Chigi non può nemmeno consentire che l’idea circoli troppo a lungo senza una smentita: «Stiamo lavorando per rimodulare il piano, ma l’ipotesi di rinunciare a parte dei fondi non è sul tavolo».
Normale dialettica? Potrebbe essere così se dietro il “confronto” tra Lega e Fdi (con Forza Italia dalla parte della premier) non si stagliasse l’ombra di Mario Draghi. Il nome dell’ex premier è tornato alla ribalta, in realtà, da quando venerdì Giorgia Meloni e Sergio Mattarella si sono ritrovati a pranzo insieme per oltre due ore. Tema principale, i ritardi sul Piano nazionale. Risultato concreto: il rilancio del dialogo con l’Unione Europea in continuità con l’azione dell’ex premier e “sfruttando” la mano tesa del commissario economica Paolo Gentiloni.
Tuttavia, l’incontro tra Meloni e il capo dello Stato non è stato ben visto da tutta la maggioranza. A questa diffidenza, si è aggiunta la voce secondo cui, prima di vedere Meloni, Mattarella abbia incontrato proprio Draghi. Il Colle è costretto a smentire tali circostanze: «Al Quirinale - è la risposta alle indiscrezioni - si registra un divertito stupore per una ricostruzione decisamente fantasiosa fatta da diversi quotidiani sugli incontri del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei giorni scorsi. Non è vero che il presidente Mattarella abbia parlato con Mario Draghi di Pnrr, né ventiquattr’ore prima della colazione con il presidente del Consiglio né tantomeno in giorni realmente precedenti. Né che vi sia stato, nello stesso arco di tempo, un analogo incontro con il Commissario Ue Paolo Gentiloni»-
Altro che «divertito stupore». È palese l’irritazione del Quirinale per l’accusa implicita di aver messo su una sorta di “troika” che poi fosse capace di indirizzare il governo Meloni.
La secca smentita ha dunque anche lo scopo di proteggere la premier da indiscrezioni che la indebolirebbero con gli alleati, specie il Carroccio in assetto offensivo. Dalla smentita quirinalizia si comprende anche che l’incontro con Draghi è avvenuto almeno una decina di giorni prima il faccia a faccia con Meloni. Mentre con Gentiloni il capo dello Stato non ha avuto di più che normali saluti in circostanze istituzionali.
Ciò detto, è indubbio che il capo dello Stato stia facendo il proprio “lavoro” per garantire continuità istituzionale su impegni e Trattati europei e internazionali di cui è anch’egli garante. E d’altra parte con Meloni, venerdì, è venuta fuori anche una strategia condivisa: se anche vi fossero dubbi legittimi sulla concreta attuazione dell’intero Pnrr, essi non vanno messi avanti all’impegno quotidiano per realizzare quanto concordato. Ovvero: si lavori ora, poi i fatti parleranno da soli e fatti alla mano si potranno concordare modifiche con una Ue che assicura di non voler essere ostile all’Italia.
La situazione è così tesa che in serata anche la Lega deve fare una mezza marcia indietro. Mentre le opposizioni si collocano a metà tra il sottolineare i problemi dell’esecutivo e il tendere una mano per un clima di “unità” intorno al Pnrr. Conte spinge su un tavolo comune, Calenda si dice pronto a collaborare. Mentre Elly Schlein, prima di ogni dialogo, vuole Meloni in aula a riferire. E non è detto che non accada, perché anche la premier sente il peso di questa fase in cui si sollevano dubbi sull’affidabilità del Paese. Che si riflette sull’azione di governo: il Cdm dedicato al nuovo decreto Pnrr doveva tenersi oggi ma slitta di qualche giorno.