giovedì 20 febbraio 2025
Mattia Maestri fu il primo paziente della pandemia in Italia e in Europa e ora racconta il suo dramma. Il ricovero all'ospedale di Codogno in condizioni disperate, l'affidamento ai medici
«I messaggi di addio ai miei e poi sono morto». 5 anni dopo, parla il paziente 1

«I medici mi dissero “ti dobbiamo addormentare, non ce la fai più”. Ho capito allora che ero vicino alla fine. Ho mandato tre messaggi con il cellulare per salutare e poi in realtà sono morto». Così Mattia Maestri, il paziente 1 del Covid in Italia e in Europa, ricorda cinque anni dopo il dramma iniziato proprio il 20 febbraio del 2020, con una febbre alta, una tosse che non passava con niente, il ricovero prima all’ospedale di Codogno (Lodi) poi al San Matteo di Pavia, in condizioni disperate. Un dramma che ha colpito l’intero pianeta e che oggi si cerca di rimuovere, ma che ha lasciato ferite indelebili nell’intera umanità.

Il 19 febbraio 2020 Mattia Maestri era ancora un giovane forte, sportivo e spensierato, sua moglie Valentina aspettava la loro prima figlia. Il giorno dopo era il “paziente 1”, il malato di Covid che fece tremare l’Europa e crollare ogni certezza, scaraventandoci in un incubo prima impensabile: Codogno diventava la nostra Wuhan e tutta Italia palpitava per Mattia.

In questo video Mattia stesso, ospite di AMMI Verona, associazione nazionale di medici donna, ripercorre con evidente emozione quei giorni e traccia un parallelo tra l’eroismo dei medici che gli salvarono la vita e Carlo Urbani, l’infettivologo italiano che 17 anni prima era morto salvando il pianeta dalla prima pandemia di Sars-Cov1. In prima fila ad ascoltarlo questa volta c’è anche Giulia, la bimba che cinque anni fa rischiò di non conoscere mai.

«Mi sono svegliato dopo settimane e quello stesso giorno ho perso mio padre: io rivivevo e lui moriva di Covid. Era il giorno della Festa del Papà», racconta con voce rotta. Poi tra le lacrime la gratitudine per i medici che lo hanno salvato: «Per questo motivo, con il dottor Raffaele Bruno mi è rimasto un rapporto di padre e figlio, ci sentiamo tutti i giorni, è lui il padrino di mia figlia. Allora non c’erano cure, del nuovo virus non si sapeva niente, le hanno provate tutte per salvarmi la vita e io sono qua, questi sono i nostri medici! Sono stato molto fortunato».

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