La ferita della nuova, drammatica crisi mediorientale ci riguarda e interpella nel profondo. In occasione della Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione promossa dalla Chiesa italiana per il 17 ottobre Avvenire vuole raccogliere e far risuonare tutte le #vocidipace: mandaci la tua a vocidipace@avvenire.it o sui nostri canali social.
Un giorno dialogavo con un mio amico filosofo, non credente. Ci legava una grande stima e affetto: partivamo da posizioni diverse, ma il confronto faceva bene ad entrambi. Quella volta mi disse a muso duro: “Ma Dio dov’è? Se permette guerre, tragedie, fame, dov’è?”. In lui non c’era polemica, ma un dubbio legittimo che accompagna l’uomo da sempre. A maggior ragione nel momento del dolore e della violenza. Chi di noi, di istinto, non si è fatto questa domanda davanti alle atrocità compiute in Terra Santa?
Ricordo che quel giorno di fronte al mio amico non credente, sentii di mettermi dalla parte di Dio. “Posso fare una riflessione?”, chiesi. “Certamente”. “La guerra: la colpa è di Dio o dell’uomo? La fame: la colpa è di Dio o dell’uomo? Se l’uomo facesse tutta la sua parte, avesse il coraggio di scelte di giustizia e di pace, forse il mondo farebbe i conti con molto meno dolore. L’uomo ha in sé l’intelligenza, i talenti e la possibilità di scegliere. Sì o no?”.
Se l’uomo usasse tutto il suo abbandono a Dio in modo da fare della preghiera il suo respiro, potrebbe capire che il buio si combatte solo diventando luce. Dentro ognuno di noi c’è un gemito inesprimibile che porta a Dio, ma l’uomo può soffocarlo in tanti modi: con l’io, con le passioni, con gli imbrogli. Impazzisco di gioia quando nel Vangelo di Giovanni leggo le parole di Gesù, quando dice che noi possiamo fare le cose che ha fatto Lui. Anzi, possiamo farne di più grandi. Quando questa verità mi è entrata dentro e l’ho capita, sono caduto in ginocchio e la mia preghiera è diventata incessante: “Dio mio, Dio mio…”.
Se capiamo questo, il mondo cambierà. L’uomo vedrà negli altri il proprio volto, nei bambini un tesoro da custodire, nella diversità una ricchezza da far fiorire, nella guerra un’assurdità da debellare. E lì ci sarà Dio. “Ma l’uomo – dissi al mio amico filosofo – deve fare tutta la sua parte, spendere la sua intelligenza per il bene”. In ogni campo, dove possibile, con tutta la creatività di cui siamo capaci, avendo ben presente i limiti della nostra natura, la debolezza che ci abita, la libertà fragile che in base alle nostre scelte può farci abitare l’abisso oppure toccare il cielo.
Per questo è importante pregare per la pace, per costruire un oltre, per trasfigurare le nostre incapacità: pregare per non tacere di fronte alle ingiustizie, all’indifferenza, alla logica della guerra. Pregare per testimoniare che l’umanità può rinascere. È una trascendenza che può unirci tutti, anche chi non crede e può fare sua la preghiera laica della rettitudine, dell’impegno personale, della disponibilità a pagare di persona se necessario.
L’uomo quindi faccia la sua parte e solo dopo chieda a Dio “Dove sei?”. L’uomo cominci a sciogliere tutti i “perché” che dipendono da lui prima di chiedere “Perché?” a Dio. Solo a quel punto potremo farci le domande che contano. “Dio dove sei?”. Se saremo in buona fede, Lui si mostrerà. Se useremo solo parole, tacerà.
Fondatore del Sermig