
Una corona di fiori gettata in mare come omaggio ai migranti morti - Ansa
La sfida è ottenere una norma Ue per riconoscere l’identità di migliaia di persone morte sulle rotte migratorie e in mare nei naufragi dei barconi. Non è solo questione di umanità, giustizia e dignità dei morti. Serve a rispettare il diritto dei familiari - molti dei quali diventati cittadini europei - a conoscere la verità, risolverebbe questioni legali molto pratiche oltre a togliere dall’angoscia per la sorte ignota dei propri cari decine di migliaia di persone la cui salute mentale viene messa a rischio. Ma per essere efficace occorre una normativa europea che unifichi le procedure. E per chiederla è approdata giovedì scorso al Parlamento europeo a Bruxelles la proposta presentata davanti a un pubblico di 300 studenti in rappresentanza di istituti superioriitaliani ed europei portati nella massima assise comunitaria dal “Comitato 3 ottobre”, nato per tenere viva la memoria della strage di Lampedusa e di tutte le vittime dei viaggi della speranza. Un testo redatto, oltre che dal Comitato, dai giuristi dell’immigrazione dell’Asgi e dai medici legali del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia Forense dell’Università degli studi di Milano. La richiesta all'Ue e agli stati membri è riconoscere e tutelare il diritto all'identificazione di tutti i cadaveri senza identità deceduti sia durante un processo migratorio sia in altri contesti.
I numeri sottostimati dicono che dal 2014 sono annegate nel Mediterraneo circa 40mila persone. «Ma il 70% resta senza nome – spiega la professoressa Cristina Cattaneo, responsabile del Labanof – eppure l’identificazione non è impossibile. Attraverso progetti pilota pubblici o pagati da privati siamo riusciti a dare un nome a 2mila morti e contattare 350 famiglie. Ma le procedure sono ostacolate dalle diverse legislazioni nazionali, dalla difficoltà di reperire il Dna dei cadaveri e dei congiunti per incrociarli». Cristina Cattaneo ha lavorato anche in condizioni estreme, come quando ha tentato su incarico dell’allora governo Renzi il riconoscimento di alcune delle vittime del naufragio del barcone affondato il 18 aprile 2015 con 1.000 persone a bordo al largo di Malta, quello che viene definito il peggiore naufragio nel Mare nostrum del secolo. Quello del bambino che teneva cucita nel la tasca del giaccone la pagella perché si sapesse che aveva frequentato le medie. Le critiche di allora all’operazione sono ancora attuali nella Ue: inutile spendere soldi per i morti.«Ma l’esperienza – ribatte Cattaneo – insegna che l’identificazione serve ai vivi le cui vite rimangono sospese. Ad esempio ai figli minori che non possono essere adottati perché legalmente non sono orfani né possono spostarsi dai campi profughi con ricongiungimenti per i quali occorre l’autorizzazione di entrambi i genitori in assenza di un certificato di morte. A costi ridotti, si potrebbe creare e implementare un database europeo e individuare un soggetto unico che incroci i dati delle agenzie nazionali». Una sfida raccolta dall’altro coautore del documento, l’Asgi. «È una questione di giustizia per persone discriminate da vive e da morte - spiega l’avvocata Paola Colasanto - e occorre partire dall’Ue per favorire l’armonizzazione delle procedure nazionali per registrare e gestire i casi di scomparsa delle persone migranti e dei cadaveri senza nome, incluse le procedure medico legali. Bisogna ottenere un regolamento per avere linee guida comuni. Quanto alla protezione dei dati, l’uso è esclusivamente per identificare persone decedute o scomparse e non a fini di polizia». Regista dell’operazione è il Comitato 3 ottobre, che gira Africa ed Europa per raccogliere il Dna di parenti di persone scomparse in mare. «Ogni nazione Ue dovrebbe avere - spiega il presidente Tareke Bhrane, rifugiato eritreo - almeno un centro dove i familiari delle persone morte in mare possano essere intervistati e i dati ante mortem raccolti. Inoltre chiediamo agli stati di agevolare le procedure di rilascio dei documenti per le famiglie, inclusi visti di breve termine, per garantire la partecipazione alle procedure di identificazione e alla ricerca o al rimpatrio delle salme». Una strada che politicamente appare in salita. «Sull’immigrazione l’Ue è al collasso – ha affermato la vicepresidente del Parlamento europeo per il gruppo Socialisti e democratici Pina Picierno – la considera un problema di ordine pubblico, si chiude criminalizzando le Ong in mare, non aumenta i corridoi umanitari. Il patto sulle migrazioni dimostra che si può rinunciare a solidarietà e responsabilità pagando». Pieno appoggio anche dai due deputati indipendenti del gruppo Cecilia Strada e Marco Tarquinio. L’ex portavoce della nave umanitaria Resq ha presentato un progetto pilota. «Ma è stato bocciato. Ovviamente noi ci riproveremo anche se questa è la peggiore legislatura di sempre sul tema dell’immigrazione». «Non abbiamo potere legislativo – puntualizza Tarquinio – dobbiamo spingere sulla Commissione allargando le alleanze creando consapevolezza». Fuori dal Parlamento, davanti al palazzo Altiero Spinelli, gli studenti portati dal Comitato 3 ottobre in visita hanno sfilato dietro a un gommone chiedendo che finiscano le morti in mare.