Un campo profughi in Ruanda - Foto Livio Senigalliesi
Ali ha 52 anni. Ne dimostra neanche uno di meno. Siede davanti a quello che era un mercato ad Aden, nello Yemen. Ali è riuscito a tornare nonostante la guerra non sia ancora un ricordo. E ha trovato solo macerie. Nonostante la pandemia, nel 2020 il numero di persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni, disastri climatici è salito a quasi 82,4 milioni, in aumento per il nono anno consecutivo. Intanto 99 Paesi hanno approfittato del Covid per voltare le spalle e respingere i profughi.
L’ultimo rapporto annuale “Global Trends” dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr-Acnur) non offre buone prospettive. Solo 251 mila rifugiati e 3,2 milioni di sfollati interni sono tornati nelle loro case, con un calo rispettivamente del 40 e del 21 per cento rispetto al 2019. È il risultato del crollo dei reinsediamenti, che nel 2020 ha riguardato circa 34.400 rifugiati, il livello più basso degli ultimi 20 anni.
La stragrande maggioranza dei rifugiati del mondo - quasi nove su dieci (86%) - sono ospitati da Paesi vicini alle aree di crisi e da stati a basso e medio reddito. I paesi meno sviluppati hanno concesso asilo al 27% del totale.
Lo yemenita Alì è riuscito a ritrovare la casa, ammesso che le rovine siano una casa. «Vivevo qui da più di 15 anni e vedere il mio quartiere così mi sconvolge e mi rattrista. La guerra – ha raccontato agli operatori Onu – ci ha costretti ad andarcene e a trasferirci. Ora sono tornato, ma ci mancano i servizi essenziali». Niente corrente elettrica, niente acqua dai rubinetti, niente telefono, e neanche un medico.
Con un aumento del 4% rispetto al numero record di 79,5 milioni di persone in fuga nel 2019, quella dei profughi non è solo una delle “nazioni” più popolose al mondo. È anche tra le più giovani e fragili. Il 42% sono minorenni. E tra il 2019 e il 2020 quasi 1 milione di neonati sono venuti al mondo da profughi. «La tragedia di così tanti bambini che nascono in esilio dovrebbe essere una ragione sufficiente per adoperarsi molto di più per prevenire e porre fine ai conflitti e alla violenza», dice l’alto commissario Onu Filippo Grandi.
Crollo dei reinsediamenti: secondo "Global trends" di Unhcr/Acnur solo 3,2 milioni di sfollati interni sono tornati nelle loro case
Più di due terzi di tutte le persone che sono fuggite all’estero provengono da soli cinque paesi: Siria (6,7 milioni), Venezuela (4,0 milioni), Afghanistan (2,6 milioni), Sud Sudan (2,2 milioni) e Myanmar (1,1 milioni). Alla fine del 2020 c’erano 20,7 milioni di rifugiati sotto mandato dell’Unhcr, 5,7 milioni di rifugiati palestinesi e 3,9 milioni di venezuelani fuggiti all’estero. Complessivamente 48 milioni di persone risultano sfollate all’interno dei propri Paesi. Altri 4,1 milioni sono richiedenti asilo.
Non ci sono solo i canoni a determinare le rotte dei fuggiaschi. Il 2020 è stato l’anno in cui il cambiamento climatico ha dimostrato di essere un nuovo potente fattore di spinta. Solo nel 2020, i disastri hanno provocato 30,7 milioni di nuovi sfollamenti interni in tutto il mondo. Il numero più alto in un decennio, il triplo dei 9.8 milioni di nuovi sfollati a causa di conflitti e violenze. Intense stagioni di cicloni nelle Americhe, nell’Asia Meridionale, nell’Asia Orientale e nel Pacifico hanno provocato distruzione, migliaia di vittime e centinaia di migliaia di “profughi climatici". «Le dinamiche di povertà, insicurezza alimentare, cambiamenti climatici, conflitti e spostamenti sono sempre più interconnesse e si rafforzano a vicenda, spingendo sempre più persone a cercare sicurezza e protezione», spiega il documento Onu.
Per il settimo anno consecutivo la Turchia ha raccolto il numero più alto di rifugiati (3,7 milioni), seguita da Colombia (1,7 milioni, compresi i venezuelani fuggiti all’estero), Pakistan (1,4 milioni, in maggioranza afghani), Uganda (1,4 milioni) e Germania (1,2 milioni). Le domande di asilo in attesa a livello globale sono rimaste ai livelli del 2019 (4,1 milioni), ma gli Stati e l’Unhcr hanno registrato 1,3 milioni di domande di asilo individuali, 1 milione in meno rispetto al 2019 (43% in meno). «Tra le riduzioni degne di nota nel numero di rifugiati – si legge nel dossier – c’è stata una diminuzione di 79.000 unità in Italia».
Lo scorso anno, nel momento di massima espansione della della pandemia, oltre 160 paesi avevano chiuso le frontiere. In 99 di questi, senza eccezione per le persone in cerca di protezione. Non di rado lasciando migliaia di persone senza neanche un pezzo di carta che ne certifichi nome e provenienza. Sono gli apolidi, almeno 4,2 milioni dalla nazionalità indeterminata.
Anche l’America Centrale è una sfida crescente. Alla fine del 2020, circa 867.800 persone originarie di El Salvador, Guatemala e Honduras sono state sfollate con la forza, quasi 80.000 in più dell’anno prima. «Coloro che hanno cercato rifugio all’interno dei loro paesi o attraversando i confini internazionali – spiega il report – stavano sfuggendo, tra l’altro, alla persistente violenza delle bande, all’estorsione e alla persecuzione».
Se le cose non sono andate persino peggio, lo si deve a «migliaia di piccoli atti di solidarietà che hanno contribuito – dice Filippo Grandi – ad alleviare il dolore dell’esilio causato dai fallimenti politici».