lunedì 22 luglio 2024
La polizia in piazza Gae Aulenti a Milano

La polizia in piazza Gae Aulenti a Milano - Fotogramma

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Venerdì sera, piazza Gae Aulenti, centro Milano. La chiamata arriva da una pattuglia dell’esercito in piazza Freud, tra il McDonald’s, la stazione Porta Garibaldi e i binari del tram. La zona è quella dei “maranza”, una crasi formata dall’unione di marocchino e “zanzone” (ladruncolo), e un’espressione della componente di razzismo accogliente e socialmente accettato che persiste nel milanese dai tempi dei “terroni”, quando i flussi migratori erano a più corto raggio. Sono nordafricani egiziani o marocchini di prima e seconda generazione, giovani, minorenni e minori non accompagnati (solo nei primi tre mesi il Comune di Milano ne ha presi in carico 1.200). Vestiti uguali, l’uniforme estiva prevede ciabatte, pedalino, shorts e maglietta neri, borsello e cappellino, si ritrovano tra la stazione e Piazza Gae Aulenti, l’icona glamour di Milano incastonata al centro delle torri di Porta Nuova che è il loro palcoscenico, dove si esibiscono con video su Tik Tok, rapine e risse. 260 quelli censiti dalla polizia come soggetti critici (pericolosi per gli altri, ma anche per se stessi, dal momento che quasi tutti hanno problemi comportamentali o psichiatrici), 400 quelli fotosegnalati. Il loro momento di fama è stato dopo il Covid, quando si erano presi le piazze vuote. In mancanza di coltelli sembra che questo gruppo venerdì sera si sia preso a pietrate e che sia stata usata una bomboletta di spray al peperoncino da qualcuno che è fuggito e che sarà poi acciuffato da un buttafuori di uno dei locali di Corso Como (che collaborano con la polizia).

Angelo De Simone, il dirigente del commissariato Garibaldi-Venezia di Milano è un poliziotto molto conosciuto da chi partecipa alle manifestazioni milanesi: lo si vede e lo si sente mentre gestisce il servizio d’ordine pubblico e parlamenta tra un lancio di oggetti e di insulti da una parte, e una carica della polizia dall’altra. In un contesto come questo, in cui ha a che fare con ragazzini problematici, che per lui sono già vecchie conoscenze, non si limita a dialogarci: li catechizza. «Voi dovete capire che qui non ci dovete stare perché in gruppo fate cose che da soli non fareste». «Io non ho fatto niente», prova a giustificarsi il giovane egiziano. Errore. «Eh no, tu qualche reato invece ce l’hai, e poi avete tutti problemi comportamentali, non reggete il confronto, alla minima conflittualità passate alle mani, al coltello alla pietra. Avete delle fragilità, state in comunità, non qui. Tu devi guardare situazioni diverse. Ma mi hai capito o no?».
«No». «Allora te lo ripeto: se stai qui, con quelli che sono peggio di te, quando migliori? E poi solo tra di voi che fate? Dove stai in comunità? In viale Certosa? E allora vai in viale Certosa, va’. Di là. viale Certosa è di là. Anche gli altri, a casa. Tanto ormai l’abbiamo preso», dice mentre il buttafuori torna con i poliziotti e un ventenne marocchino (che sarà rilasciato dopo l’identificazione) scortato tra loro. Motivo della lite? Una ragazza. Si passa in stazione. Da uno degli ultimi treni scende un gruppetto ciabattante. Uno di loro era già stato controllato. «Qua sei... ecco che significa dire una cosa e disattenderla… Hai chiamato almeno il dottore? Stai meglio? Che t’hanno dato? La pastiglia. Ma devi farti visitare, ti devono fare una diagnosi, devi andare al Cps, gli dici che hai un problema di gestione dell’ansia. Guarda che poi peggiori». Poi tocca al suo amico: «Non hai il documento?… Ce l’hai dai, tira fuori il telefonino: non si dicono le bugie alla polizia. Hai un permesso di soggiorno per motivi familiari? Ma allora stai con i genitori. No? Perché te ne sei andato? Non vi parlate? E perché non andate d’accordo? Sono lavoratori i tuoi? E magari purtroppo hanno avuto poco tempo per te, ci hai pensato?».

Arriva la volante, ma non può entrare nel piazzale perché il cantiere della nuova stazione chiude la strada di accesso. «Così non va bene però, non abbiamo la visuale», dice. Come le forze dell’ordine, neanche i mezzi dell’Amsa riescono a entrare, col risultato che i rifiuti si accumulano, non viene effettuata la pulizia del piazzale (l'odore di urina è forte) e con il rischio che si crei rapidamente una situazione di degrado. Questo mentre invece nella stazione Centrale di Milano, dopo un anno di interventi, la situazione sembra tornata finalmente a essere sotto controllo, con i dehors dei locali della zona di Piazza Duca D’Aosta di nuovo frequentati. «Qui fuori prima trovavi i fumatori di crack, con le bottigliette e l’ammoniaca, oppure arrivava un clochard e ti metteva le mani nel piatto di pasta. Fumavano crack tra le auto, nei cassonetti dell’immondizia e poi impazzivano e si prendevano a morsi», ricorda il titolare del Nico Quick Bite di via Napo Torriani. Una serie di interventi che vanno da quelli nei confronti di chi è disagiato e con patologie. Poi ci sono i tossicodipendenti, anch’essi categoria fragile, ma che alimenta il circuito criminale (di fatto gli stessi di Rogoredo, che è collegato con ferrovia e metropolitana). Molti di loro sono stati arrestati per spaccio e rapine. Poi gli autori di furti e rapine: e sono ancora una volta spesso i minori non accompagnati provenienti dal Nord Africa. Molte di meno rispetto al passato invece le borseggiatici, che stanno solo in metropolitana. Infine c’è la categoria del ladri professionisti, che puntano ai turisti degli alberghi, e in essa rientrano soprattutto centrafricani, di Senegal, Gambia, e italiani, che utilizzano un approccio truffaldino per derubare il turista. Complessivamente sono stati 400 gli arresti effettuati nell’ultimo anno. Infine c’è stato un intervento anti-degrado, con lo smantellamento dei rifugi provvisori, tra i quali un capanno abusivo, l’ultima cabina della Telecom dove dormivano i clochard. «Abbiamo razionalizzato l’attività delle associazioni assistenziali, spostandone alcune, per non creare sprechi che poi si traducevano in accumulo di rifiuti (questa parte di lavoro fatta insieme ad Amsa)», dice il dirigente di polizia. Sempre in quest’area di intervento rientrano le segnalazioni al Comune sull’illuminazione della zona e la manutenzione dell’arredo urbano.

«Non è il semplice controllo della pattuglia, abbiamo fatto un’azione che va oltre la polizia giudiziaria, ben oltre la pubblica sicurezza. C’è un attività a tutto tondo, anche intessendo una rete col territorio, con i servizi sociali, per attivare tutti quei percorsi, compreso quello dell’agganciamento ai servizi psichiatrici o per imporre un ricovero coatto», spiega De Simone.
Nell’ultimo anno la politica della questura e del commissariato competente per queste zone in particolare è quella di contrastare l’uso di girare con il coltello in tasca. Così fioccano le denunce per porto di oggetti atti ad offendere. «Diminuiti i coltelli, sono finiti anche gli episodi di risse con accoltellamenti. Certo usano quello che trovano, per pietre, cocci di vetro… - spiega De Simone, il cui occhio cade due turisti in Corso Como che impugnano una bottiglia di vino ciascuno -...Ecco scusate quelle devono sparire», dice confiscando le bottiglie.

Lungo la via intanto si sono schierati i vigilantes dei locali, in maglietta gialla, ai lati del corso come dissuasori di sosta in cemento. Un servizio privato di vigilanza sussidiaria (dodici persone a sera, la metà nei giorni feriali), pagato dagli esercizi commerciali raggruppati nel Consorzio Corso Como, attivo da aprile, che collabora con le forze dell’ordine, anche nel fornire informazioni, ed è regolamentato con un protocollo stipulato in prefettura a Milano. I due turisti nel frattempo tornano alla carica impugnando una pila di bicchieri di carta rimediata in un locale; la loro delusione è grande quando si accorgono che il vino ormai è finito in pattumiera insieme alle bottiglie: «Ma erano du' fondi, su».

L’ultimo fenomeno criminale della zona sono i rapinatori di orologi: bande formate soprattutto da senegalesi che si appostano nelle vie limitrofe in agguato dei clienti ubriachi o alterati. Così i buttafuori, oltre ai locali, controllano l’intera via, assistono i clienti che escono dalle discoteche in condizioni di scarsa lucidità, chiamandogli un taxi, sorvegliandoli ed indicandogli le vie da non prendere. «Per noi è già una soddisfazione rivedere le persone che girano con il telefonino in mano. Prima non lo facevano per paura degli scippi. Le rapine sono calate del 90%. Adesso però anche loro hanno imparato e si sono spostati. Il nostro buco è quella zona lì (indica verso via Maroncelli e via D’Azeglio), che non riusciamo a coprire. Loro aspettano là. Hanno un capo che gli spiega come si fa, hanno delle sentinelle, i venditori ambulanti, che si possono avvicinare al cliente, vedono che orologio ha, se tira fuori il portafogli per pagare e se ha i contanti e li avvisano, probabilmente ricevendo qualcosa - spiega Ciro Ferrara, vigilante del consorzio Corso Como e titolare di uno dei locali della zona -. Ai clienti diciamo: non andate da quella parte a chiamare il taxi, chiamatelo qua. Non avete le schede? (come può capitare ai turisti stranieri), ve lo chiamiamo noi, questo è il genere di assistenza che facciamo. Magari c’è qualcuno che dice: grazie, ma io non ho problemi ho fatto sport, vado in palestra... e poi tornano tutti gonfi senza più niente. In caso di rapina insistiamo affinché denuncino, perché senza la denuncia la polizia non può prendere le immagini delle telecamere».

Le vittime sono accerchiate, le saltano addosso in quattro, le strappano l’orologio. «Poi corrono fino al ponte (il cavalcavia Bussa), scendono subito le scale, si cambiano con i vestiti che tengono tra le aiuole in quella zona per non essere riconosciuti. Nel frattempo l’orologio lo hanno passato al complice», spiega Ferrara. Come i vigilantes, anche gli scippatori stanno facendo il loro debriefing seduti sulle panchine in fondo a via de Tocqueville, in una zona al riparo da sguardi indiscreti. Per i rapinatori di Rolex però è presto: aspetteranno le ore prima dell’alba, quando i locali chiudono e gli avventori sono vomitati fuori. Adesso è il turno degli spacciatori, seduti sulle aiuole in mezzo al corso a lanciare sguardi adescatori.

C'è ressa per entrare nei locali di Corso Como e di via de Toqueville, e il furgone del reparto Mobile della polizia, che prima era in piazza Gae Aulenti, si è spostato in zona. Piazza Gae Aulenti è deserta mentre una rampa di scale sotto la movida è iniziata. Venerdì pomeriggio il reparto investigativo del commissariato ha arrestato un ventenne accusato di una rapina commessa il 26 giugno nel parco della Biblioteca degli Alberi, altro luogo iconico, con i suoi giardini a reticolo trapezoidale tra la piazza e il quartiere Isola (ma cosa non lo è qui? Le torri, il Pavillon UniCredit in legno, il Bosco Verticale con i giardini pensili: tutto è iconico, o perlomeno instagrammabile). Una ragazza rimasta sola si dondola su di un’altalena del parco che ricorda quelle fatte con il copertone, ma che sarà sicuramente realizzata con un materiale eco-sostenibile. Non è vero che questa città non dorme mai. Lo fa a zone, come il cervello dei mammiferi marini. E forse ha paura di risvegliarsi diversa e di non riconoscersi.

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