sabato 5 aprile 2025
L'ex segretario dell'Udc, già vicepremier, è convinto che con Trump sia «pericoloso fare la mosca cocchiera». E teme Putin: «Il mondo non è più quello di Pratica di Mare, è cambiato. E non in meglio»
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undefined - MASSIMO PERCOSSI

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Pratica di mare 28 maggio 2002. C’è una foto-simbolo. Le mani di Silvio Berlusconi appoggiate su quelle di Vladimir Putin e di George W. Bush come se si volessero archiviare anni di guerra fredda. E ora? Marco Follini è stato vicepremier ed è ancora giornalista, conosce la politica e capisce l’Europa. E forse è inevitabile ripensare a quel 2002 senza nascondersi quello che non va. «Il mondo è cambiato, e certamente non è cambiato in meglio. Quelli erano anni in cui l’ordine mondiale non sembrava minacciato. Anni in cui libertà, democrazia e pace sembravano tenersi per mano e garantirsi a vicenda. Anni in cui le asprezze erano ridotte al minimo. C’era insomma una traiettoria che conduceva a forme di coesistenza». Un salto di ventitré anni. E un’altra immagine. Putin e Trump con un telefono in mano. Per trovare un’intesa sull’Ucraina. Per costruire una tregua. Magari per lavorare a una pace.

Follini, cosa c’è dietro questo tentativo ancora in corso?

Per ora c’è una comunione di intenti sulla martoriata Ucraina.

Non crede alla pace perché non crede a Trump e Putin?

Oggi il mondo è in mano a questi due signori figli della loro storia: un palazzinaro che ha passato la vita a comprare e a vendere grandi immobili e un ex agente dei servizi segreti diventato grande in un accavallarsi di trame e complotti. Qui non c’è il primato della politica. Qui non ci sono le leve della politica: diplomazia, negoziato, mediazione. Qui non vince il dialogo, vince la forza.

Lei vede, dunque, un futuro carico di incertezze e forse di paure?

È così: un futuro in cui le relazioni internazionali sono destinate a vivere solo di prove di forza. È sempre accaduto ma mai in queste proporzioni e questo non mi fa essere sereno.

La spaventa Vladimir Putin?

Sì, mi spaventa Putin. E la Russia è un grande pericolo anche per l’Italia. Ha una vocazione a intervenire nei Paesi che sono oltre la sua frontiera, ha una spinta espansionistica che inquieta… Vede, Putin si spinge fino a dove trova resistenza. Dove questa resistenza c’è, la valanga si ferma; dove la resistenza non c’è la valanga travolge tutto.

Sta dicendo allora sì al riarmo?

Riarmo è una parola brutta. Sto dicendo sì e subito a una difesa europea. Nessuno saluta con gioia l’idea che ci si debba armare, ma gli altri sono armati. E non basta la fiducia nel destino, il destino lo costruiamo con scelte coraggiose. Insomma non ci si arma per il gusto di fare la guerra, ma solo per garantire un equilibrio strategico. Perché la pace è un tale valore che è quasi secondario chiedersi se sia giusta. Ma dal punto di vista geopolitico o è giusta o non è.

L’Europa avrà questo coraggio e questa lungimiranza?

Dovrà fare i conti con il fatto che attorno a se è cresciuta la solitudine. L’America non è più quella di prima. E nemmeno la Russia. Trump non è Roosevelt e Putin non è Gorbaciov. Usciamo da settant’anni dove le regole erano alte e vorremmo tenerci stretto un mondo costruito con l’impegno dei grandi europeisti.

Ha colpito una frase di Giorgia Meloni: «L’Europa si è un po’ persa». Ha ragione la premier?

Dire che l’Europa si è un po’ persa vuole dire dare una mano perché si perda ancora di più. Io dico che l’ottimismo della volontà deve essere più forte del pessimismo e dello scetticismo dell’introspezione. Oggi un’Europa che non fa i conti con la realtà rischia di essere ancora più messa ai margini.

Ma fare i conti con la realtà quali passi impone?

Mettere in comune più cose possibili. Unire le forze. Anche militarmente. E capire che o cade il diritto di veto e le decisioni si rendono comunitarie o tutto crolla.

Crede che decidere a maggioranza sia un passo possibile?

Le crisi mettono sempre in moto risorse. Danno sempre una spinta. Riservano sempre sorprese. Nessuno avrebbe detto che dopo il 1945 si sarebbero messe in piedi così tante strutture capaci di trasformarsi nell’ossatura dell’Europa di oggi. Ora però dobbiamo liberarci di quel sottile strato di diffidenza che noi europei abbiamo verso noi stessi, verso una fondamentale mancanza di fiducia verso il nostro modello. La Ue che critichiamo oggi viene imitata. Abbiamo un valore, custodiamolo.

Tornando alla nostra Italia: come si sta muovendo Meloni? Può essere davvero il ponte tra Stati Uniti e Ue? Anche dopo lo strappo di Trump sui dazi?

Meloni è a un bivio decisivo. Se fa una scommessa su un grande disegno europeo avrà più forza. Se resta in bilico rischia di seminare un equivoco che non fa bene all’Italia e non fa bene a lei. L’America ha preso la strada peggiore. La premier rifletta bene: illudersi di fare la mosca cocchiera a Trump è una pericolosa vanità politica.

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