Inclusione, un obiettivo “utopistico” per la metà degli insegnanti italiani
Oltre quarant’anni di scuola inclusiva non hanno reso l’Italia un Paese davvero a misura di disabile. È l’amara conclusione del sondaggio nazionale “Inclusione scolastica: un valore irrinunciabile?”, presentato oggi a Rimini al 14° Convegno internazionale Erickson, che si concluderà domenica negli spazi del Palacongressi. Tre giorni di tavole rotonde, dibattiti e workshop, con esperti italiani e internazionali, per fare il punto dell’inclusione scolastica nel nostro Paese e tracciare una rotta per il futuro.
«La dimensione valoriale e ideale dell’inclusione è ancora fortissima – ha spiegato Dario Ianes, professore ordinario di Pedagogia dell’inclusione della Libera Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento –. Ma calandosi nella realtà operativa delle scuole, giorno dopo giorno, si accumulano difficoltà concrete che alimentano uno scetticismo sempre crescente, che arriva a punte di quasi la metà del nostro campione. Campione, tra l’altro, di insegnanti motivato e autoselezionato – ricorda Ianes –. La percezione di irrealizzabilità e di utopia sta crescendo, in parallelo con l’indebolimento delle relazioni di collaborazione tra scuola, famiglie e servizi sanitari e sociali».
Venendo ai dati, se il 96% del campione (3.137 persone tra insegnati, educatori, pedagogisti, assistenti sociali, neuropsichiatri infantili e genitori), è convinto che l’inclusione scolastica sia un valore per l’alunno, indipendentemente dalla sua disabilità e che, per il 95% degli intervistati, l’inclusione porti benefici cognitivi e sociali ai compagni e alle compagne di classe, circa un insegnante su due (il 42%) è convinto che l’attenzione positiva all’inclusione sia calata nel tempo. Quasi la medesima quota di intervistati (il 40%), ritiene, poi, che 40 anni di scuola inclusiva non abbiamo, appunto, reso l’Italia un Paese più inclusivo, mentre poco meno della metà del campione (il 47% per la precisione) - come ha ricordato Ianes, non senza preoccupazione - ha pensato nel lavoro quotidiano con gli alunni disabili, che una vera inclusione non sia fattibile. E questo anche perché, come testimonia il 74% degli intervistati, negli ultimi anni è andata peggiorando sempre di più la collaborazione tra scuola, servizi sociali e sanitari, così come il rapporto di fiducia con le famiglie, che il 58% del campione ritiene sia ormai logorato e sfilacciato.
Insomma, il nostro sistema di inclusione scolastica, ricco di buone intenzioni ma, come documenta anche quest’ultimo sondaggio del Centro studi Erickson di Trento, povero di risultati davvero efficaci, si potrebbe definire con questa citazione, severa ma, alla luce dei fatti, corretta, tratta dall’ultimo libro dei britannici Philippa Gordon-Gould e Garry Horbny Inclusive education at the Crossroads (“Educazione inclusiva al bivio”): «Lungi dall’essere un modello che altri Paesi potrebbero emulare, il sistema educativo inclusivo italiano è un esempio di come la pratica dell’inclusione possa essere inefficace, se non addirittura controproducente, rispetto al suo scopo essenziale».
A fronte di questi risultati, si riafferma ancora una volta, dunque, la necessità della scuola di porsi come ambiente sempre più equo e capace di mettere al centro il benessere socio-emotivo di studenti e studentesse, al pari di quello del corpo docente, al fine di favorire l’apprendimento e lo sviluppo del potenziale di ciascuno, guardando all’inclusività da una prospettiva intersezionale. Un lavoro non facile, proprio per il contesto attuale in cui la scuola si trova ad operare. «Quanto reggeranno i valori base dell’inclusione scolastica sotto la spinta individualistica e meritocratica della visione conservatrice della scuola e della società? Quanto reggeranno i valori base dell’inclusione scolastica sotto le difficoltà quotidiane di applicazione e realizzazione concreta dei valori inclusivi?», si legge nel rapporto Erickson. Domande su cui non soltanto la scuola, ma l’intera società è chiamata a riflettere.