Assuntina Morresi
Maschio, femmina o altro? Per decidere, secondo molti, ci vuole tempo. E dunque bisogna fermare la pubertà per «guadagnare tempo» e aspettare qualche anno per stabilire se passare o no all’altro genere: per questo viene usata la triptorelina ( Trp), quando si ha una diagnosi di disforia di genere (Dg), cioè quando il genere “percepito” non è congruente con quello alla nascita.
Ma che significa concretamente? Significa che se un bambino “si sente” una bambina (e viceversa) e si comporta di conseguenza, a 12 anni, quando il suo corpo inizia a cambiare per la pubertà, gli viene somministrata la Trp e la crescita si interrompe. Significa che se è un maschio si riduce il volume dei suoi genitali, non gli cambia la voce, non c’è il pomo di Adamo, mentre se è una femmina non cresce il seno, non arrivano le mestruazioni oppure si bloccano. Si ferma anche lo sviluppo delle ossa, e si cresce poco in altezza. Il volto, il corpo, l’aspetto rimangono bambini, «in uno stato neutrale di prima pubertà, in un limbo», dicono gli esperti. E così fino a 16 anni: se resta la convinzione di essere «nel corpo sbagliato», si va avanti con gli ormoni per cambiare sesso. E poi la chirurgia, a 18.
Fino a quattro anni di “sospensione” fisica, ma lo sviluppo cognitivo non si può fermare, e quindi c’è una persona fisicamente bambina ma che cognitivamente continua a crescere, anche se le emozioni e i sentimenti sono alterati: se si sopprime la spinta degli ormoni nativi, cosa avviene nelle relazioni con gli altri, in una pubertà così volutamente manipolata? Non siamo solo i nostri ormoni, ma siamo anche i nostri ormoni, e sappiamo bene quanto contino fra i 12 e i 16 anni. Con un corpo bambino e una “mente” più adulta, per anni, confusi di per sé e fuori dall’evoluzione fisiologica ormonale: come possono questi ragazzi non sentirsi sempre più diversi dai compagni di banco? Niente si sa degli effetti fisici a lungo termine, né se siano veramente reversibili: i dati scientifici ci sono solo per la Trp usata per lo scopo opposto, cioè interrompere la pubertà “patologica”, quando arriva troppo presto (6,7 anni) e non quando è fisiologica (12 anni). Cioè i dati disponibili sono per usi diversi.
Chi condivide il trattamento dice che così diminuisce la sofferenza legata alla Dg (ansia, depressione, autolesionismo, tendenze suicidarie, autismo), perché si eliminano i segni del corpo che non si vuole. E, nell’attesa, si capisce meglio chi si vuole diventare. Ma se il corpo è “neutro”, come si fa a ragionare su “chi” si vuole diventare? Manca proprio quello su cui si dovrebbe lavorare, cioè l’esperienza del corpo che cresce, dello sviluppo tipico dell’età. Si taglia via un pezzo di vita e si “riflette” sull’immaginario. E non c’è alcuna prova che depressione, ansia, tendenze suicide si curino bloccando la crescita. E chi stabilisce se la Dg è causa o effetto di tutto questo? Anche su questo non c’è alcun dato.
Infine, il consenso informato, che diventa un atto formale. Ma veramente pensiamo che un dodicenne, o un sedicenne, specie in queste condizioni, sia consapevole di cosa significhi cambiare genere, e non poter avere bambini in futuro? O che, forse, potrebbe congelare i suoi gameti, per essere poi madre biologica e padre sociale al tempo stesso, o viceversa? Dai pochi dati disponibili quasi nessuno desiste durante il protocollo: in Olanda, dove è nato e si è sviluppato, tutti quelli che lo hanno iniziato hanno poi cambiato sesso chirurgicamente alla maggiore età. Ma come si può pensare che suggerire precocemente il cambio di genere, con una pesantissima manipolazione nella fase cruciale dello sviluppo, sia «il migliore interesse» di questi ragazzini?
Membro del Comitato nazionale per la bioetica