Le delegazione italiana a Bruxelles - Twitter ministro degli Affari europei Enzo Amendola
Il Recovery fund approvato stanotte al Consiglio Ue ha un valore complessivo di 750 miliardi, 390 miliardi in “grants” (sussidi diretti) e 360 in “loans” (prestiti garantiti dall’Ue, a tassi molto bassi). È lo stesso ammontare della proposta della Commissione, ma con una diversa distribuzione tra sussidi e prestiti: meno sussidi, più prestiti, questo l’equilibrio raggiunto. Un equilibrio che però non ha danneggiato l’Italia, che avrà diritto alla stessa quantità di sussidi (tra 81 e 82 miliardi) e a una maggior quota di prestiti (circa 127 miliardi).
LA SVOLTA: IL DEBITO COMUNE
Il Recovery fund è collegato al Bilancio pluriennale dell’Europa. I 750 miliardi saranno raccolti sui mercati. Vuol dire che per la prima volta esisterà un debito comune europeo, ovvero un debito “garantito” da ciascuno degli Stati membri, sebbene poi le risorse vengano distribuite in base alle necessità createsi con il coronavirus. Per capirsi, tutti contribuiranno al debito europeo da 750 miliardi, ma a usufruirne maggiormente saranno Paesi come Italia e Spagna in base alla perdita di Pil e lavoro che hanno registrato per colpa di Covid-19.
I PASSAGGI ISTITUZIONALI CHE MANCANO
Il Recovery fund non è immediatamente disponibile. L’accordo dovrà essere ratificato dai Parlamenti di tutti i Paesi membri e dall’Europarlamento. Un iter che dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno.
EROGAZIONE E RIMBORSI DEI FONDI
Il Fondo distribuirà le risorse tra il 2021 e il 2023 e resterà in vita fino al 2026. Due i criteri per la ripartizione: per il primo periodo ci si baserà sul livello di disoccupazione nel 2015-2019, per il 2023 invece il riferimento sarà la perdita di Pil reale nel 2020-2021. Il 70% degli aiuti dovrà essere impiegato nel 2021 e 2022. Il restante 30% invece nel 2023. I soldi saranno erogati a rate, in base all’effettiva realizzazione di riforme messo nero su bianco dagli Stati. La Commissione resta il “controllore” principale, ma con l’ultima intesa si è definita la possibilità per uno Stato membro di porre obiezioni e “frenare” sull’avanzamento del piano in un altro Paese. La formulazione definitiva non dovrebbe però costituire un formale potere di veto per il singolo Stato membro. Il rimborso della parte di denaro presa a prestito inizia nel 2027.
PERCHE' L’ITALIA NON PERDE SOLDI
L’Italia mantiene la stessa quota di sussidi, e aumenta la quota di prestiti, poiché il taglio alla parte “grants” del Recovery fund è avvenuta su alcuni fondi specifici e non ha toccato le risorse ad “allocazione diretta”, basate su Pil, disoccupazione e impatto della crisi. È una parziale buona notizia. Perché i sussidi tematici tagliati riguardavano transizione ecologica e altri capitoli fondanti del Green new deal.
CHI CI CONTROLLERA' E CON QUALE PROCEDURA
Il compromesso trovato dai 27 dopo le furiose battaglie tra Conte e Rutte si basa sul “super freno di emergenza” per i Paesi che non fanno le riforme. I Paesi beneficiari dei fondi dovranno rispettare le raccomandazioni specifiche della Commissione, oltre agli obiettivi del Green deal e della digitalizzazione. Sarà la Commissione a valutare i piani nazionali di riforma, che però dovranno essere approvati dal Consiglio Ue a maggioranza qualificata. Qualora un Paese abbia dubbi sull’attuazione delle riforme in un altro Paese, potrà bloccare l’erogazione dei fondi chiedendo, in sede di Comitato economico e finanziario, di portare la questione al Consiglio europeo. Ora è noto che il Consiglio Ue delibera all’unanimità, e che quindi è sufficiente il veto di un Paese per bloccare tutto. Nell’intesa finale non si accenna alla modalità deliberativa del Consiglio nel caso un Paese “deferisca” un altro Paese: non si parla né di veti né di unanimità né di maggioranza qualificata. Di sicuro, il “super freno”, se attivato, allunga di almeno tre mesi l’erogazione di fondi, che verrebbe di fatto sospesa.
LA CONTROPARTITA AI PAESI “FRUGALI”
Per ottenere l’accordo dell’Olanda e degli altri tre Paesi “frugali” vi è stato anche un forte aumento degli sconti (rebate) di cui godono nel bilancio comunitario. I rebate, introdotti per la prima volta su richiesta del Regno Unito ai tempi di Margaret Thatcher, in alcuni casi sono stati raddoppiati. Alla Danimarca sono andati 322 milioni annui di rimborsi (rispetto ai 222 milioni della proposta di sabato); all'Olanda 1,921 miliardi (da 1,576 miliardi); all'Austria 565 milioni (da 287), e alla Svezia 1,069 miliardi (da 823 milioni).