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Non solo Terra dei Fuochi. I giudici di Strasburgo hanno acceso i riflettori anche sui femminicidi in Italia (tanti, sempre troppi, come negli ultimi giorni) e sui ritardi dei procedimenti per denuncia da parte delle vittime. La Corte europea dei diritti umani ha infatti condannato l'Italia per non aver agito prontamente sulla denuncia di una donna vittima di ripetute molestie e stalking ed episodi di violenza da parte dell'ex compagno. Nella sentenza la Cedu afferma di essere preoccupata per le conseguenze combinate delle peculiarità del sistema italiano di prescrizione e dei ritardi nei procedimenti perché conducono alla chiusura di un numero significativo di casi anche di violenza domestica. La donna ha presentato il ricorso alla Cedu nel 2019. Le violenze denunciate alle autorità italiane nel 2009 erano avvenute nei due anni precedenti.
La storia
L'ha seguita, ha passato al setacciato il suo telefono, l'ha insultata e minacciata. Per tre volte è stato violento. Ma non è mai stato condannato a causa di lacune nelle indagini e di una giustizia troppo lenta, tanto che i reati sono finiti in prescrizione. La donna, il cui nome non è stato reso pubblico, si era rivolta alla Corte di Strasburgo dopo anni di battaglie nei tribunali italiani. Nel 2009 aveva denunciato alle autorità le violenze subite fornendo anche un quadro dettagliato: nomi di testimoni pronti a confermare la sua versione, date e orari precisi degli oltre 2.500 messaggi ricevuti dall'ex compagno, oltre alla miriade di telefonate. Ma la giustizia ha tardato a muoversi: nel suo pronunciamento, la Cedu sottolinea che ci sono voluti tre mesi solo per registrare la denuncia. Il rinvio a giudizio dell'uomo è arrivato dopo altri quattro anni e la sentenza di primo grado è stata pronunciata oltre sei anni dopo.
Il nodo tempi
I giudici di Strasburgo hanno rilevato che «sono trascorsi 3 mesi prima che la denuncia della donna fosse registrata», e che in seguito «l'ex compagno è stato rinviato a giudizio circa 4 anni dopo la presentazione della denuncia e che la sentenza di primo grado è stata pronunciata più di 6 anni dopo». Inoltre indica che, «16 mesi dopo, la Corte d'appello ha assolto l'uomo dai fatti commessi prima del 25 febbraio 2009, poiché la legge che prevede il reato di molestie non era ancora entrata in vigore, e ha dichiarato prescritti i fatti penali contestatigli dopo tale data». La Cedu, sottolineando di aver già determinato che in casi di violenza contro le donne gli Stati devono agire con celerità, si dice «non convinta che nel caso in esame le autorità abbiano mostrato una reale volontà di garantire che l'ex compagno fosse chiamato a rispondere del proprio operato». Al contrario «ritiene che i tribunali nazionali abbiano agito in spregio al loro obbligo di garantire che l'uomo, accusato di minacce e molestie, fosse processato rapidamente e non potesse quindi beneficiare della prescrizione». «Nelle circostanze del caso, non si può dire che le autorità italiane abbiano agito con sufficiente tempestività e ragionevole diligenza», scrive la Cedu. «Considerata la loro incapacità di condurre un'indagine e di garantire che l'autore del reato fosse perseguito e punito senza indebiti ritardi le autorità nazionali non hanno fornito una risposta proporzionata alla gravità dei fatti denunciati e questo ha prodotto come risultato il fatto che l'uomo ha goduto di una totale impunità», specifica la Cedu.
Le motivazioni
«Nelle circostanze del caso, non si può dire che le autorità italiane abbiano agito con sufficiente tempestività e ragionevole diligenza», scrive la Cedu. «Considerata la loro incapacità di condurre un'indagine e di garantire che l'autore del reato fosse perseguito e punito senza indebiti ritardi le autorità nazionali non hanno fornito una risposta proporzionata alla gravità dei fatti denunciati e questo ha prodotto come risultato il fatto che l'uomo ha goduto di una totale impunità», specifica la Cedu.