Si chiamava Assia. Un nome d’arte che evoca ascendenze germaniche, così come erano nordici i suoi delicati tratti somatici, occhi azzurri, boccoli chiari, sebbene le gambe e la statura non fossero proprio da valchiria. E Assia, divinità del neopaganesimo ariano, pareva tradire fin dal nome la sua elezione a vestale di un mondo nuovo. Assia, la bionda creatura consacrata al mito politico dell’Asse, l’alleanza tra l’Italia fascista e la Germania nazista. Stiamo parlando di Assia Noris, diva del cinema italiano degli anni Trenta e dei primi Quaranta, l’epoca dei telefoni bianchi. Un’artista che torna alla ribalta attraverso una rilettura del rapporto tra il mondo del cinema e i regimi forti del Novecento. Grazie anche a rare fotografie prodotte dalla propaganda nazista, emergono le inedite trame dell’utilizzo a fini politici degli attori scelti per incarnare l’idealtipo ariano, il perfetto interprete della pura razza eletta. Assia Noris interpretò sul grande schermo la figura della ragazza della porta accanto, la giovane onesta e di buoni sentimenti. Le protagoniste femminili dei suoi film avevano nomi tutti carezzati da vezzeggiativi: Lauretta, Annetta, Nicoletta, Pierina. Attrice prediletta del regista Mario Camerini (uno dei suoi cinque mariti), in coppia fissa con Vittorio De Sica, questa “fidanzatina” dei sogni dei maschi italiani era nata a San Pietroburgo nel 1912, con il nome di Anastasija Noris von Gerzfeld. Origini russe, dunque, e una vocazione alle relazioni internazionali che gli derivava certo dalla sua innata capacità comunicativa e dalla conoscenza di cinque lingue. Assia divenne così la regina del cinema autarchico di Cinecittà, vero contraltare di Hollywood celebrato dal Duce come l’arma propagandistica più forte, in grado di plasmare l’immaginario delle masse. La sua popolarità, alla fine degli anni Trenta, in Italia fu enorme: un po’ per le doti recitative, ma soprattutto per il fascino esotico che emanava la sua personalità. Un misto di candore e di malizia, nel quale giocava un forte ruolo l’accento straniero. Della Noris sono note l’ambizione e la spregiudicatezza. Descrisse Hitler come un pupazzo di neve, con il naso, i baffi e gli occhi finti, e raccontò di aver respinto l’offerta del Führer di recitare per il cinema di Stato tedesco. Nel dopoguerra, lamentò presunte persecuzione ordite ai suoi danni dalla censura del Minculpop, poi addirittura una sua deportazione in Germania. Di questa diva dell’Asse ho trovato alcune fotografie inedite che raccontano però un’altra verità: le sue connessioni con l’alta politica del Reich nazista. Le immagini la ritraggono in compagnia di Joseph Goebbels, il potente ministro della Propaganda di Hitler. Piccolo e deforme, una sorta di gnomo, fisicamente parlando; ma una mente acuminata, dal punto di vista politico, come si evince dalla lettura del suo diario intimo, un documento sconvolgente della sua intelligenza diabolica e perversa. Goebbels, com’è noto, era un
tombeur de femmes, con una spiccata preferenza per le attrici del grande schermo. Perciò, non stupisce più di tanto la presenza di Assia Noris alla sua corte. Ciò che semmai sorprende è il ruolo che la diva interpreta, su quel palcoscenico. Assia Noris, infatti, è ritratta dall’obiettivo del fotografo in occasione di una visita ufficiale compiuta in Germania, tra la fine di settembre e il principio d’ottobre del 1940, da Roberto Farinacci, il potente ras di Cremona, ministro di Stato ed esponente dell’ala filogermanica del regime fascista. La macchina propagandistica documenta, con un servizio fotografico ad hoc, gli incontri di Farinacci con Hitler e gli altri leader nazisti. Assia Noris appare, in un paio di scatti, durante un colloquio informale tra la moglie di Farinacci, Anita, e Goebbels: fasciata da un elegante, anche se un po’ lugubre, abito nero, la diva espande all’intorno la sua vis comunicativa, osservata dalla consorte del ras cremonese, robusta come una matrona. Sembrerebbe che il capo della Propaganda abbia fatto intervenire la bionda Assia nel ruolo di interprete, il che illustra molto bene la funzione che le dive dell’Asse erano chiamate a svolgere, nell’epoca in cui la fratellanza ideologica tra l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista era proclamata con enfasi proprio in ragione delle affinità tra i due sistemi. Le dive di celluloide, oltre che ambasciatrici dei propri rispettivi Paesi, si prestavano a divenire intime collaboratrici di quest’alleanza, o matrimonio, tra i due modelli autoritari e antibolscevichi che a quel tempo parevano vincenti in Europa. Le attrici del cinema di Goebbels e di Mussolini, oggetto di un nuovo culto popolare, come nuove dee di un rito collettivo politeista, attraverso il loro volto e la presenza stessa nella vita delle proprie nazioni, contribuirono infatti a celebrare il mito di una nuova civiltà che trovava i suoi natali proprio nella fondazione dell’Asse. Come prodotto di esportazione, poi, il cinema totalitario ambiva ad essere strumento di attiva penetrazione delle idee-guida di quei regimi, e dunque arma propagandistica per eccellenza. Con il crollo di quei regimi che l’avevano lanciata come un astro nel firmamento pavesato di croci uncinate, Assia Noris vide franare anche gli ultimi sogni. Tramontata definitivamente l’era dei telefoni bianchi, la teutonica madrina dell’Asse cercò di riproporsi sul grande schermo, in un film diretto da Carlo Lizzani. Ma il pubblico parve non accorgersi più di lei. La Lauretta dei tempi andati giunse al capolinea delle illusioni nella tranquilla Sanremo, dove si ritirò con discrezione nel 1981. Morì il 27 gennaio 1998, lasciandosi alle spalle una fama di collezionista di mariti: oltre a Camerini e a Roberto Rossellini, trovò l’amore con il conte Gaetano Assia, il ricco petroliere egiziano Tony Habib e l’ufficiale inglese Jacob Pelster.