Il teatro è come una farmacia dove si possono trovare le medicine giuste per guarire dai mali che affliggono il mondo». Non un rifugio, però, ma uno spazio di riflessione, personale e collettiva «che ci impedisce, tra l’altro, di rintanarci in casa a guardare Il Grande Fratello Vip e tanta cattiva televisione». Parola del signor Enzino Iacchetti che a 64 anni ha deciso di dire sul palcoscenico «tutta la verità e nient’altro che la verità», raccontando al pubblico attraverso aneddoti, gag e canzoni la sua esperienza artistica e umana e il suo pensiero sul mondo dello spettacolo. Stasera, al Teatro Delfino di Milano (alle ore 21.00, in replica domani alle 16.00), il debutto in prima nazionale del nuovo show intitolato Intervista confidenziale a Enzo Iacchetti. La storia di un ragazzo che voleva volare alto ma soffriva di vertigini. Cioè la storia di uno che doveva fare il ragioniere o il tabaccaio e che invece ha fatto l’agente di viaggi, il dj di una radio privata e il cameriere prima di esordire al Maurizio Costanzo Show con le sue surreali “canzoni bonsai”. Iacchetti si presenterà sul palco con la sua chitarra, affiancato dal collega Giorgio Centamore. Gli spettatori potranno intervenire con domande per interagire con lui e carpirne segreti, difetti e virtù nascoste. Potranno sapere tutto ciò che esiste dietro al lavoro e alla vita di un personaggio famoso.
Come è nata l’idea di questo recital un po’ fuori dagli schemi?
«È stata una cosa strana. L’ispirazione mi è venuta da un incontro con gli studenti della Bocconi. Sì, lo so, voi penserete che io con l’università non c’entro niente... Un bel giorno però il rettore mi ha invitato in ateneo a parlare di comunicazione. Così mi sono messo a studiare per prepararmi bene alla conferenza ma è successo che i ragazzi, i quali cercano sempre la verità, con le loro domande hanno scardinato tutta l’impalcatura del mio discorso: volevano sapere cosa c’era dietro il sistema delle star televisive e si sono interessati a me così tanto che a un certo punto ho deciso di raccontarmi senza tacere nulla della mia carriera. Mi sono messo in gioco, insomma, parlando della gavetta che ho dovuto fare (durata più di vent’anni), dei successi ma anche delle sberle prese prima di... volare alto».
Quando cominciò a “fare spettacolo”?
«A nove anni, cantando nel coro dell’oratorio. Ma “davo spettacolo” anche quando facevo il chierichetto e urlavo come un matto le litanie della Messa sotto lo sguardo preoccupato del parroco».
Lei debutterà con questo show al Teatro Delfino, nel quartiere Mecenate, che negli anni ’50 e ’60 è stato il laboratorio di grandi nomi della canzone italiana come Celentano, Gaber, Jannacci e Rita Pavone. Oggi però il Delfino è uno spazio considerato “minore”, di periferia. Perché lo ha scelto?
«Quel teatro ha rischiato di chiudere ma ora è gestito da ragazzi che hanno bisogno di essere aiutati. Alla mia età posso permettermi di lasciar perdere le questioni di denaro, quindi l’ho preferito ad altre strutture, tipo il Manzoni. La mia è una missione».
D’altra parte lei è conosciuto come un artista generoso che si è speso anche in gesti di beneficenza ed è stato testimonial di iniziative di solidarietà. Penso alla Comunità Exodus di don Mazzi e alla serata al Carcano, la scorsa stagione, con Giobbe Covatta, con la commedia Matti da slegare, a favore della Fondazione Progetto Arca...
«Sì, ma queste cose le faccio innanzitutto per me stesso. In silenzio e di nascosto, quando posso. Sono un essere umano, errori ne ho commessi e so che significa essere malato, non avere un lavoro o una casa. Non mi piace però dire “io ho dato 100 euro, avete visto che bravo che sono?”. Con il mio amico Giobbe ed altri artisti abbiamo aiutato i terremotati dell’Aquila, di Arquata del Tronto e Amatrice».
Allora lo farà anche per quelli dell’Alto Maceratese?
«Certo, se me lo chiederanno....».
Sebbene lei sia nato a Castellone, in provincia di Cremona, è considerato un luinese a tutti gli effetti, come i comici Massimo Boldi, Francesco Salvi e Francesco Pellicini. Non è che l’aria del lago Maggiore favorisca la difficile arte del far ridere?
«Qui ogni giorno alle 19.30 spengono le luci e tutti si chiudono in casa a guardare la tv. Solo il sabato sera vanno a cena fuori. Se vivi sulla “sponda magra del Verbano” è facile che ti deprimi, impazzisci o ti dai all’alcol, sennò.... diventi un artista. Io comunque, scherzi a parte, devo molto a Luino perché mi ha ispirato personaggi e situazioni».
Per esempio?
«Una mia fonte, per anni, è stato un pescatore, oggi vecchissimo, che perse un braccio durante la guerra. Ha continuato a fare il suo lavoro anche con questa menomazione e quando tornava dal lago ed entrava al bar ci raccontava, facendo segno con l’unica mano: “Oggi ho preso un luccio lungo così...”. E noi: “Ma che bella bestia!”. E devo dire che ho imparato il mestiere del comico facendo il menestrello nelle pizzerie della zona: mi creda è difficile strappare un sorriso a uno che ha una margherita davanti e pensa solo agli affari suoi».
Il comico: il teatro? Una farmacia dove trovare le medicine giuste per guarire dai mali che affliggono il mondo.
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