Chiostri
Si svolge il 13, 14, 20 e 21 maggio 'Nuovi modi di studiare il cervello', il 12° Convegno internazionale di neuroetica, promosso dalla Società italiana di Neuroetica (Sine) e dalla Ins, la società internazionale della stessa disciplina, che si occupa a livello interdisciplinare delle conseguenze etiche, filosofiche, sociali e legali della ricerca sul cervello. Tra i relatori, si segnalano Karl Deisseroth, inventore dell’optogenetica, Derk Pereboom, protagonista del dibattito internazionale sul libero arbitrio, e Vittorio Gallese, co-scopritore dei neuroni specchio, che qui anticipa i temi del suo intervento. Si può seguire online il convegno gratuitamente, scrivendo per registrarsi a convegno@societadineuroetica.it. Programma e info: http://societadineuroetica.it/.
Il capitolo l’Alba dell’Uomo, con cui si apre il film 2001 Odissea nello Spazio, mostra con la potenza visiva dell’arte di Stanley Kubrick il momento in cui l’ominide vede per la prima volta il femore di un animale morto come un potenziale utensile. Nel suo lungo cammino evolutivo, la cultura umana è strettamente intrecciata allo sviluppo tecnologico, che è il risultato dell’umana tecnologia cognitiva. Come ha mostrato Gilbert Simondon, la tecnologia fa parte della natura umana e va oltre il mero scopo utilitaristico, perché è una rete di relazioni. Nel corso dell’evoluzione culturale umana, dall’utensile si origina il simbolo.
Per l’homo sapiens il mondo non è solo l’arena della lotta per la sopravvivenza, ma anche uno spazio di rappresentazione. Non ci limitiamo, infatti, ad abitare il mondo fisico che in modo sempre più incerto e problematico definiamo “realtà”, ma entriamo e usciamo continuamente anche da una molteplicità di mondi paralleli. Sono i mondi immaginari e immaginati della finzione narrativa, creati con la costante produzione di immagini e storie. Grazie a queste narrazioni fatte di immagini, suoni e parole abbiamo sviluppato abitudini, pratiche sociali, rituali, costruito comunità e istituzioni, alimentando regole, gerarchie e credenze collettivamente condivise. Ciò ha contribuito in maniera essenziale a trasformare l’Io e il Tu nel Noi, rendendo gli individui membri attivi di una comunità che si identifica in pratiche, simboli e valori etici condivisi.
E oggi? C’è qualcosa di speciale nella nuova tecnologia digitale? Forse sì. L’avvento degli artefatti digitali e l’uso dei social media hanno rivoluzionato il nostro stile di vita. Il nuovo millennio ha dato alla luce un nuovo ambiente, quello mediatico digitale. Secondo Francesco Casetti, l’ambiente mediatico digitale promuove o facilita la mediazione tra gli individui e la realtà, grazie ai manufatti tecnologici in esso inseriti. L’intersoggettività dipende da pratiche e relazioni sociali che i media digitali moltiplicano, trasferendole in un mondo-replica a due dimensioni, terribilmente simile al mondo della finzione cinematografica. I media digitali contemporanei tendono a sostituirsi al mondo corporeo diventando la forma chiave di relazione con esso.
Lo smartphone per miliardi di esseri umani è ormai una vera e propria tecno-protesi corporea, uno schermo-pelle, strumento di una nuova visione performativa, scandita dal movimento delle dita sullo schermo. Lo schermo-pelle è un imbuto digitale che ingloba servizi, notizie, commenti, relazioni sociali, intrattenimento, e ultimamente a causa della pandemia, anche educazione e istruzione. La creazione di senso mediata dal nuovo ambiente digitale, fortemente abitato dalle emozioni, spesso negative, che amplifica e ci ritrasmette, influenza il modo in cui percepiamo il mondo e le credenze e opinioni che guidano le nostre scelte.
Il sé digitale che usiamo come avatar di noi stessi, di cui narriamo in diretta la storia, è il prodotto di un’elaborata costruzione, di cui il selfie è un ingrediente importante. Il sé diviene più estetico. La ripetizione ritualizzata delle pratiche sociali digitali fa di un’ossessione personale una religione sempre meno privata e dal contenuto ansiogeno. In epoca Covid-19, ciò è amplificato dal trasferimento nel parallelo mondo digitale di gran parte della nostra vita sociale, a causa delle prescrizioni che limitano la nostra vicinanza fisica agli altri. L’ambiente mediatico digitale, la cosiddetta mediasfera, sta modificando la natura dell’esperienza, poiché l’ibridazione dei suoi aspetti digitali e corporei crea contaminazioni incrociate che ci richiedono una costante negoziazione e rimediazione.
La pandemia, un drammatico stress-test globale, ha mostrato che dobbiamo studiare e comprendere la mediasfera digitale molto più di quanto fatto finora. Il dispositivo riconfigura le immagini e gli sguardi. Se è vero che l’etica nasce dall’estetica, cioè dalla nostra conoscenza sensibile del mondo grazie alla nostra natura corporea, le neuroscienze oggi possono aiutarci a comprendere la realtà in cui viviamo, studiando come costruiamo l’esperienza di un mondo sempre più ibrido. Qualcosa già lo sappiamo: la capacità di riconoscere gli altri come nostri simili e comprenderne i comportamenti è legata al rapporto di reciprocità che ci lega gli uni gli altri, anche a livello dei sottostanti meccanismi neurali.
Questi meccanismi entrano in gioco anche quando ci immergiamo nella finzione narrativa, come quando guardiamo un quadro, andiamo al cinema, a teatro, o leggiamo un romanzo. Ciò che sappiamo ancora poco e male è come il cervello- corpo risponde a una socialità digitale o addirittura virtuale. Quanto poroso è il confine tra questi mondi? Le neuroscienze oggi devono indagare i cambiamenti che le tecnologie digitali producono sulle pratiche sociali, e come queste mutate pratiche a loro volta modificano gli atteggiamenti, i sentimenti, le opinioni e le emozioni. In breve, come cambiano le nostre esperienze di vita.