
Francesco Caporale, Busto di Antonio Manuel Ne Vunda, 1608. Roma, basilica di Santa Maria Maggiore - Capitolo di Santa Maria Maggiore, Città del Vaticano
Un grande padre della storia dell’arte del ’900 come Lionello Venturi riteneva che lo studio delle opere comporta inevitabilmente l’influenza della contemporaneità: un critico «può guardare l’arte del passato con l’occhio del passato, ma la giudica con l’esperienza del presente, che contiene e rende presente tutto il passato» (1941). Al di là degli stereotipi, la storia dell’arte è una disciplina costantemente in dialogo con le trasformazioni sociali e politiche: un terreno fecondo di ragionamenti, inferenze, significazioni, ma soprattutto di nuove letture che rendono il patrimonio culturale una dimensione vibrante, sempre prodiga di sorprese. Certo non va sottovalutato che può essere complicato restituire il senso di questa evoluzione, raccontando i risultati delle ricerche e il vantaggio complessivo che ne può derivare anche per il grande pubblico. La mostra “Barocco globale”, curata da Francesca Cappelletti e da Francesco Freddolini e allestita presso le Scuderie del Quirinale, offre un’occasione preziosa per prendere atto della vitalità e delle scoperte di cui la storia dell’arte può essere protagonista. L’esposizione affronta, con indubbio coraggio e con uno sguardo innovativo rispetto alle consuete narrazioni, la storia complessa e stupefacente dei rapporti tra la città dei papi e le culture extraeuropee: la Cina, il Giappone, l’Africa, la Persia, il “Nuovo Mondo”. Uno scenario trasversale e ricchissimo che già a inizio Seicento vede convergere a Roma, per volontà di Paolo V Borghese, una quantità di viaggiatori, mercanti, ambasciatori provenienti da tutti i continenti conosciuti, e con loro oggetti, animali ed esemplari botanici. Nelle sale della mostra riprende vita il fervore di queste connessioni, che nei primi decenni del secolo alimentano scambi commerciali e alleanze politiche, incoraggiano la ricerca naturalistica e scientifica, animano l’immaginario popolare. Delle celebri ambascerie raffigurate nel 1616 circa da Agostino Tassi, Carlo Saraceni e Giovanni Lanfranco nella Sala Regia del Quirinale, una in particolare è divenuta leggendaria: quella del congolese Antonio Manuel Ne Vunda, che – giunto a Roma nel 1608 – vi morì tragicamente, a causa della stanchezza del viaggio e di una malattia debilitante. L’esposizione si apre proprio con il magnifico busto policromo realizzato da Francesco Caporale per il monumento funebre che Paolo V volle dedicargli in Santa Maria Maggiore: un prestito eccezionale concesso dal cardinale Makrickas, arciprete coadiutore della basilica, e fortemente voluto da papa Francesco. Non soltanto l’opera risulta di eccezionale fattura, e giustamente viene posta a confronto con un busto “all’antica” noto come pseudo-Annibale e proveniente dalla Galleria Borghese (1597-1607), ma essa testimonia l’apertura della corte pontificia nei confronti di culture “diverse”, per le quali non mancavano tuttavia marginalizzazioni e forme di sfruttamento, nonché di esclusione sociale. Come chiarisce Francesca Cappelletti in catalogo, ne sono chiara evidenza le raffigurazioni delle zingare che predicono il futuro in dipinti di ambiente caravaggesco, di cui è un magnifico esempio la tela di Valentin datata 1631 proveniente dalle collezioni del Liechtenstein. L’apertura degli studi storico-artistici alla corrente dei “global studies” - di cui il Francesco Freddolini, docente di Arte europea e mondo globale” presso la Sapienza è un brillante esponente - ha di fatto svelato la presenza e il significato storico delle alterità che la prospettiva eurocentrica ci impedisce, nella gran parte dei casi, non solo di comprendere ma persino di “vedere”. La mostra romana si colloca in un momento storico delicatissimo, in cui le grandi narrazioni storiografiche vengono riconsiderate in nome di una più che mai necessaria decolonizzazione e in cui equilibri geopolitici consolidati vengono sottoposti a improvvisi stravolgimenti. Il documentato racconto del “Barocco globale” ci invita a riconsiderare il passato e il nostro stesso presente con uno sguardo policentrico e complesso: un processo che necessariamente impone – allo storico come a ciascun cittadino/visitatore – uno sforzo di umiltà e di riposizionamento culturale e politico. Lo stesso che indusse il gesuita Matteo Ricci a rappresentare il planisfero collocando la Cina al centro, in una relativizzazione delle dipendenze geografiche che appare di impressionante attualità. Per illustrarne il pieno significato, lo stesso Ricci pensò di dedicare la carta «a tutti coloro che […] sono coperti dalla stessa cappa dello [stesso] cielo e appoggiano i piedi sulla [stessa] terra».
Roma, Scuderie del Quirinale
Barocco globale
Il mondo a Roma nel secolo di Bernini
Fino al 13 luglio