lunedì 21 luglio 2014
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In uno dei suoi celebri aforismi Ennio Flaiano diceva che il cinema «è l’unica forma d’arte dove le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile». Si muovono, è vero, ma parlano anche. E se l’opera “parla” nella lingua in cui è stata creata porta direttamente al pubblico, senza la mediazione del doppiaggio, il “messaggio” voluto dal suo autore. Vedere un film straniero nella versione originale, allora, non è soltanto un modo per imparare o mantenere viva la conoscenza di un idioma ma è anche un’opportunità per apprezzare appieno il significato di un’opera d’arte cinematografica. E non è sempre una questione di sfumature. Il doppiaggio in Italia vanta una lunga e gloriosa tradizione: è ritenuto il migliore del mondo e ha avuto il grande merito di alfabetizzare larghe fasce della popolazione contribuendo anche a diffondere culture diverse. Ma talvolta le “traduzioni” delle sceneggiature, gli adattamenti, pur brillanti, possono stravolgere il senso di un film. E anche un buon doppiaggio, benché adeguato ai gusti della platea, può togliere qualcosa allo spettatore più esigente. Un esempio? Lincoln di Steven Spielberg, uscito nel 2012. Il protagonista Daniel Day-Lewis, che per il ruolo del presidente americano ha vinto l’Oscar, nella versione italiana è stato doppiato dal bravo attore, Pierfrancesco Favino, il cui timbro vocale, però, e l’eccessiva retorica usata nei passaggi più a effetto sembravano cozzare con la naturalezza imposta al personaggio da Spielberg e dallo stesso interprete britannico, in un film dove, peraltro, i dialoghi sono nella lingua americana ottocentesca, con termini desueti o espressioni spesso lontane dal lessico attuale, ma mai enfatiche e sempre realiste. Provate a confrontate i due trailer sul web: la differenza appare evidente. È uno scarto, quello tra dialoghi originali e dialoghi “rifatti” e “ridetti” in sala di doppiaggio, che pesa di più per i cosiddetti film d’autore dove un uso preciso delle parole, il ritmo della recitazione, i riferimenti al contesto culturale in cui si svolge la vicenda – non sempre “traducibili” con esattezza – sono parte integrante dell’opera, ne determinano cioè il suo stesso significato. Insomma, il doppiaggio è un compromesso e qualche volta può rovinare un film, storpiandone la struttura narrativa, se non addirittura i contenuti, o comunque indebolendone la capacità di emozionare lo spettatore. Perché doppiare un film è difficile, spesso quasi impossibile come tradurre una poesia. Un giudizio che trova d’accordo, senza mezzi termini, il regista Gabriele Muccino: «Vedere un film doppiato è come spararsi in bocca – ha dichiarato, provocando la dura reazione dei doppiatori – perché mesi di lavoro di un autore vengono annientati: ho visto migliaia di film nella mia vita, molti doppiati in italiano li ho rivisti a distanza di tempo in inglese e l’esperienza è stata incomparabile». Chissà, allora, se e come sarà doppiato il suo Fathers and Daughters, con Russel Crowe e Aaron Paul che il regista romano ha appena finito di girare a Hollywood, in inglese, e che dovrebbe essere distribuito nelle sale italiane alla fine dell’anno. Ma va detto che oggi, a causa dell’endemica crisi del cinema, i doppiaggi si fanno sempre più in fretta e con meno soldi a disposizione non garantendo sempre il massimo della qualità al prodotto finale. Allora, forse, almeno di fronte a un capolavoro, potrebbe valere la pena mettersi davanti all’originale lasciandosi trascinare dalle immagini e dalla storia. Emblematico il caso di The Artist di Michael Hazanavicius che ha scelto il muto e il bianco e nero facendo commuovere il mondo... E se poi, di fronte a un film in inglese, francese o russo, facciamo fatica a capire, aiutiamoci con i sottotitoli i quali, saranno pure fastidiosi ma con un po’ di esercizio ci si può abituare. In molti ci hanno provato, con risultati soddisfacenti. Intanto, alcune case distributrici cominciano a immettere sul mercato decine di copie di prodotti cinematografici in lingua originale: è accaduto, per esempio, con il musical francese Les miserables, con il film Her/Lei di Spike Jonze (premio Oscar per la sceneggiatura originale nel 2014) e con il documentario The Imposter del giovane Bart Layton, uno squisito racconto dell’altra faccia dell’America, ora disponibile, senza traduzione, anche in dvd.
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