Lapide in ricordo dei caduti di Pietransieri - WikiCommons
Era una bella e fredda domenica di tardo autunno il 21 novembre del 1943, ma nessuno era andato a messa a Pietransieri – oggi frazione di Roccaraso in provincia dell’Aquila - perché il paese era stato sfollato dai tedeschi e anche il prete se n’era andato, obbedendo all’ordine di Kesselring. Scritto in tedesco sui manifesti affissi nel paese, l’ordine prevedeva che chi fosse stato sorpreso in zona sarebbe stato considerato «un ribelle, con conseguente applicazione del trattamento previsto dalla legge di guerra dell’esercito germanico», cioè l’immediata fucilazione. Non se n’era voluto andare il sacrestano, fatto saltare insieme con la canonica minata. E anche la vecchia ammazzata, che forse non aveva capito o non era in grado di andarsene o tutte e due le cose.
Lassù, tra i più alti rilievi dell’Abruzzo, del Molise e le alture laziali del cassinate, dalla foce del Garigliano sul Tirreno ad Ortona sull’Adriatico, da settimane andava assestandosi la linea Gustav che avrebbe dovuto arrestare la risalita dal sud degli alleati, sbarcati a Salerno il 9 settembre. Le cime rappresentavano un baluardo naturale, ogni casa doveva diventare casamatta, mentre alle trincee provvedevano i rastrellati dell’area, uomini inabili alle armi o ragazzi ammassati sui camion dalle aree limitrofe e portati a scavare là sopra.
Ma la legge di Kesselring non saliva alla frazione più alta (1.400 metri) dei Lìmmari di Pietransieri, dove nuclei di abitanti erano riusciti a sfuggire ai rastrellamenti e avevano ricoverato negli alpeggi in quota, nascosti dai boschi, l’unico bene di questa zona, secolarmente votata all’allevamento: il bestiame. Gli alleati stavano arrivando, bastava evitare che delle bestie s’impadronissero i tedeschi i quali requisivano tutto, per tornare in poco tempo alla vita normale, cui già il meridione d’Italia era stato restituito da settimane, con la risalita dello stivale da parte degli angloamericani.
Invece non sarebbe stato affatto così. Per altri dieci mesi lassù avrebbe infuriato la guerra, con altissimi tributi in vite umane e distruzioni; e poi nel resto dell’Italia, ancora per quasi un anno, fino alla primavera del ’45. Ma è sempre così: quando la morte sopraggiunge inattesa, vuol dire che nessuno l’ha capita prima.
Qualche tedesco era corso su ai Lìmmari e aveva gridato ciò che sui manifesti non era stato letto o inteso, da una popolazione in buona parte analfabeta, usando le mani per indicare i mitra e due parole chiarissime per far capire cosa sarebbe successo a quelli trovati: “tutti kaputt”.
E così fu. In quella domenica di sangue, di primo mattino pattuglie tedesche salirono ai Lìmmari, entrando di casale in casale e falciando a mitragliate chiunque era dentro. Donne, vecchi e bambini (i pochi uomini erano tutti nascosti con le bestie negli stazzi più alti) non ebbero neanche tempo di accorgersene, vennero ammazzati, a volte, seduti intorno al tavolo mentre facevano colazione, così li ritrovarono con le facce rovesciate nelle ciotole di latte, caffè d’orzo, pane nero e sangue. Altrove vennero chiusi dentro i casali, minati prima di farli saltare. Altri, il gruppo più consistente, furono fatti avanzare sino a una radura e poi lì abbattuti tutti coi mitra.
Di questo gruppo sopravvissero 2 o 3 bambini. Una, di 7 anni, Virginia Macerelli, oggi ottantacinquenne, si salvò perché cadde sotto al corpo della madre che teneva in braccio la sorellina minore, uccisa, mentre accanto a lei moriva anche il fratellino; ferita, rimase accanto al cadavere della madre per un giorno e mezzo prima di essere trovata dalla nonna.
Centoventotto furono i morti dei Lìmmari di Pietransieri, la prima e più grande strage d’inermi civili compiuta dai tedeschi in Italia, tra cui 60 donne e 34 bambini; l’ucciso più vecchio aveva ottant’anni, il più piccolo un mese. Rimasero insepolti fino a primavera, ma il cielo s’impietosì e prese a far cadere, già dal giorno successivo, nevicate abbondantissime che coprirono tutti quei corpi per mesi.
I responsabili della strage non vennero mai individuati. Nel 1967 il presidente della repubblica Saragat insignì Pietransieri di una medaglia d’oro. Nel 2017 il tribunale abruzzese di Sulmona, nella cui circoscrizione ricade Pietransieri, ha condannato la Germania a un risarcimento milionario. Solo non si sa come esigerlo. In effetti non c’è quasi più nessuno a richiederlo, per la propria quota familiare. Le famiglie sono state sterminate in massa e i pochi scampati di allora sono quasi tutti morti, 78 anni dopo. Risulta sempre complicato reclamare giustizia dalla morte, su questa terra almeno.