Cinquant’anni fa, il 4 dicembre 1963, il concilio Vaticano II promulgava il suo primo testo, la costituzione sulla liturgia. Ripensando a ciò che in questi cinquant’anni
Sacrosanctum concilium ha significato per il rinnovamento liturgico che ne è scaturito e gli importanti cambiamenti operati dalla riforma liturgica, alcuni dei quali epocali, il Concilio ha raggiunto un solo grande risultato: ha reso la liturgia più cristiana. Sì, la Chiesa cattolica celebra oggi una liturgia che, nei contenuti come nelle forme, è più fedele alla «verità del Vangelo» (Gal 2,14) e per questo più adatta alle esigenze dell’uomo contemporaneo. Questa duplice fedeltà, all’evento Cristo e all’uomo di oggi, fa della liturgia riformata dal Concilio una liturgia più cristiana. Questo è il grande frutto di
Sacrosanctum concilium.Dicendo ciò non si intende minimamente pensare che prima del Vaticano II la liturgia non fosse cristiana. Dire questo sarebbe profondamente ingiusto nei confronti dei credenti che per secoli hanno celebrato la liturgia tridentina facendone la fonte della loro santificazione, ma lo sarebbe anche nei confronti dei cattolici che ancora oggi la celebrano. Tuttavia, grazie ai principi posti da
Sacrosanctum concilium e al vasto lavoro di rinnovamento liturgico nel quale per molti anni le nostre comunità sono state impegnate, quella che oggi celebriamo è una liturgia più cristiana perché più fedele al «Vangelo del Signore Gesù» (At 11,20). In questo senso non è improprio affermare che con il Concilio è avvenuta una vera e propria conversione della liturgia, perché nella Chiesa ogni autentica riforma è sempre conformazione al Vangelo. La Chiesa del Vaticano II ha dato inizio al rinnovamento di se stessa alla luce del Vangelo cominciando con il riformare la liturgia, perché non ci può essere una liturgia da riformare e una Chiesa perfettamente fedele al Vangelo. Una liturgia più cristiana fa più cristiana anche la Chiesa.Tutta la grandezza di
Sacrosanctum concilium sta esattamente nella sua ricerca di ricondurre la liturgia alla sua fonte originaria, «il Vangelo di Dio» (Rm 1,1), e questo conferisce al primo testo del Concilio un valore testimoniale del tutto particolare, in quanto esprime l’autocoscienza che la Chiesa ha della sua liturgia. Dal rapporto tra liturgia e Vangelo nasce infatti l’intelligenza che
Sacrosanctum concilium offre della natura della liturgia cristiana, da questo rapporto vitale hanno origine, come logiche conseguenze, i principi teologici e le norme esecutive per la riforma e l’incremento della liturgia presenti nella costituzione.La ricerca di una maggiore conformità della liturgia al Vangelo è dunque la chiave che permette di comprendere l’attualità permanente della costituzione liturgica anche quando, a cinquant’anni di distanza, constatiamo che la riforma liturgica del Vaticano II è stata portata a termine. Ciò che invece non potrà mai ritenersi realizzata una volta per tutte è la piena fedeltà della liturgia al «Vangelo del regno di Dio» (At 8,12). Al rapporto tra Vangelo e liturgia si riferisce in modo particolarmente lucido e autorevole papa Francesco nell’intervista rilasciata a
La Civiltà Cattolica rispondendo alla domanda su cosa è stato il Concilio: «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta». Per dire cosa il Concilio ha realizzato Francesco pone in relazione il Vangelo, la cultura contemporanea e la riforma liturgica. Anzitutto il Vangelo: per il papa, il rinnovamento operato dal Vaticano II «viene dallo stesso Vangelo», e indica come esemplare di questo processo il lavoro della riforma liturgica che definisce anch’esso una «rilettura del Vangelo».È dunque dal Vangelo stesso, e non da altro, che ha avuto origine il rinnovamento operato dal Concilio di cui il rinnovamento della liturgia ne è uno dei maggiori frutti. Riconoscere senza mezzi termini che il Concilio è stato anzitutto «rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea», come fa papa Francesco e con lui la stragrande maggioranza degli studiosi del Vaticano II, è possibile solo se si parte dal presupposto che nel cristianesimo la fedeltà al Vangelo non si dà senza fedeltà all’uomo concreto. Il «Vangelo eterno» (Ap 14,6) cioè senza tempo, è sempre anche Vangelo nel tempo nel quale è annunciato, a dire che il «buon annuncio» è sempre contemporaneo dell’uomo che lo ascolta. Questo dà origine a una verità cristiana centrale che si può così sintetizzare: la fedeltà della Chiesa al Vangelo è sempre in se stessa fedeltà evangelica della Chiesa all’uomo concreto. Conseguenza immediata di questo è la necessaria fedeltà evangelica della Chiesa al tempo nella quale essa vive. Il principio che sta alla base di ogni rinnovamento liturgico che voglia essere «una rilettura del Vangelo», come lo è stato quello del Vaticano II, è questo: se la sostanza della liturgia corrisponde sempre, di sua natura, alla sostanza del Vangelo ne consegue che la forma della liturgia (riti, testi e stile) deve incessantemente tendere a coincidere con la forma del Vangelo. Francesco di Assisi chiese a Innocenzo III una cosa soltanto, che gli consentisse di «vivere secondo la forma del santo Vangelo». Il Vangelo non è solo la
forma vitæ dei santi ma anche la
forma vitæ della liturgia. Il Vangelo ha una sua forma come anche la liturgia ha una sua forma: nella storia della Chiesa a volte si sono avvicinate quasi fino a corrispondere, altre volte, invece si sono allontanate. Grazie alla riforma liturgica del Vaticano II, oggi la forma della nostra liturgia si è maggiormente avvicinata alla forma del Vangelo, e in questo modo il Concilio ci ha donato una liturgia più cristiana.