La prima fotografia radiotelescopica di un buco nero, divulgata il 10 aprile 2019
Vedere l’immagine, sia pure radiotelescopica, di un buco nero supermassiccio posto al centro della galassia M87 è sicuramente uno spettacolo affascinante, sebbene sia un fenomeno della natura previsto dalla teoria della relatività generale, ma ancor prima già ipotizzato da qualche scienziato (es. Pierre-Simon de Laplace) sulla base della newtoniana legge di gravitazione universale.
Onestamente stupiscono le polemiche di questi giorni sul fatto se si tratti o meno di una “fotografia”, come l’hanno definita sbrigativamente alcuni giornalisti, o sulla presunta inutilità scientifica di un simile risultato, perché comunque lo si interpreti, si tratta pur sempre di un’impresa scientifico-tecnologica che una volta di più ha posto in evidenza la straordinarietà della mente umana, la sua capacità di svelare il funzionamento dell’Universo con la sola forza del pensiero logico e di realizzare strumenti tecnologici in grado di sondare il cosmo profondo.
Si sapeva che i buchi neri non rappresentano oggetti astronomici rari, anzi gli astrofisici si sono addirittura spinti a congetturare che soltanto la nostra galassia (la Via Lattea) ne ospiterebbe non meno di mezzo miliardo; mentre la rilevazione delle onde gravitazionali aveva a sua volta definitivamente aperto la via alla presenza di black holes con masse miliardi di volte superiori a quella del nostro sole e pressoché tutti concentrati al centro delle galassie.
Nel 1971 lo scienziato Stephen Hawking, scomparso un anno fa, pubblicò proprio un articolo sulle onde gravitazionali dei buchi neri e da quel momento venne affermandosi come uno dei maggiori studiosi di queste «trappole gravitazionali» da cui non riesce a fuggire neppure la luce.
Quella sui buchi neri è comunque un’indagine scientifica alquanto difficile, dal momento che essi si caratterizzano come delle “singolarità”, ossia come una condizione unica ed eccezionale inspiegabile con le attuali conoscenze fisiche. Lo stesso Hawking giunse perfino a dichiarare che se «le leggi della fisica crollano sulle singolarità, possono farlo ovunque» e dedicò così la sua vita di scienziato a tentare di superare ogni singolarità, da quella dei buchi neri a quella del Big Bang, dell’origine fisica dell’Universo.
Ma qui la domanda che si fa avanti è un’altra e cioè se di fronte a delle singolarità cosmiche irrisolvibili dalla scienza, di fronte a fenomeni al cospetto dei quali sono obbligate ad arrestarsi le cosmologie scientifiche, non sia non soltanto legittimo, ma addirittura necessario passare dalla fisica alla metafisica, dalla scienza empirica alla teologia filosofica.
Nonostante gli sforzi di molti scienziati dichiaratamente atei di scongiurare a tutti i costi una soluzione metafisica o teologica della cosmologia sposando l’indimostrabile teoria del Multiverso, quanto emerge dall’esperienza delle singolarità fisiche è che proprio alla luce delle moderne scoperte astrofisiche resta aperto su base scientifica il problema della “prima mossa”, ossia di che cosa abbia dato origine all’Universo. In sintesi, appaiono dunque oggi assodate tanto l’inadeguatezza delle leggi della fisica a spiegare le singolari condizioni cosmologiche primordiali quanto la manifesta provvisorietà e accidentalità del nostro cosmo.
Risulta insomma un dato di fatto che l’Universo esiga un incredibile fine tuning («sintonizzazione fine») dei fattori cosmologici per poter esistere e continuare ad esistere; e che questa finissima sintonia non sia per nulla scontata, palesandosi al contrario come talmente improbabile da rasentare l’impossibile. Pure la presenza dei buchi neri supermassicci è una conferma di questo fine tuning, perché senza la possibilità fisica della loro esistenza non ci sarebbero le galassie e il cosmo forse non esisterebbe o comunque risulterebbe inospitale per la vita.
Per una analoga ragione, agli albori della scienza contemporanea un filosofo tuttora poco noto come Franz Brentano riteneva fosse possibile procedere dai risultati scientifici «fisicamente certi» per dimostrare l’esistenza di un Creatore.