mercoledì 10 aprile 2019
A rivelare il buco nero è stata la sua ombra, che appare come una sorta di anello rossastro. Quello fotografato è al centro della galassia Virgo A (M87), distante dalla Terra 55 milioni di anni luce
Quella del buco nero è stata definita la "foto del secolo"

Quella del buco nero è stata definita la "foto del secolo"

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«Abbiamo visto l’invisibile!»: questo il paradossale annuncio fatto ieri alla National Science Foundation dai portavoce di un gruppo internazionale di astronomi che, dopo anni di pazienti e caparbi sforzi, sono riusciti a fotografare un buco nero (con una massa equivalente a 6,5 miliardi di masse solari, che si trova a 55 milioni di anni luce dalla Terra, al centro della galassia Messier 87) o, più correttamente, la sua ombra cosmica. Infatti un buco nero, per sua propria natura, non può essere visto. L’esistenza di questi incredibili oggetti celesti era stata prevista dalla teoria della relatività generale proposta da Albert Einstein proprio cento anni fa, nel 1919, secondo la quale lo spazio non poteva più essere considerato indifferente alla presenza di materia, ma da questa poteva essere curvato. Le conseguenze sembrarono allora assurde e molti scienziati si dimostrarono inizialmente scettici, ma le osservazioni compiute durante l’eclissi totale di sole del 1919 dimostrarono che Einstein aveva ragione: lo spazio vicino al disco del sole oscurato era curvo e la luce delle stelle, passando nei pressi, non seguiva più una linea retta, ma una traiettoria curva.
Il fenomeno è oggi visibile e a alla portata di tutti: molte immagini ottenute con il telescopio spaziale Hubble mostrano come la forma di lontane galassie venga distorta quando la loro luce attraversa una cosiddetta lente gravitazionale, ovvero un ammasso di galassie più vicine che con la loro massa deformano lo spazio circostante.

La conseguenza più estrema della teoria è senza dubbio il buco nero: quando la massa di un oggetto è talmente concentrata da superare un limite chiamato raggio di Schwarschild, lo spazio si curva talmente da non permettere alla materia e persino alla luce di uscire. Non solo, ma tutto ciò che si avvicina temerariamente entro tre volte il raggio citato, spiraleggia cadendo nel buco nero per sempre.

Anche in questo caso il fenomeno sembrava inizialmente solo una ipotesi teorica, non corrispondente ad oggetti reali, ma con il passare degli anni e la disponibilità di strumenti di osservazione sempre più potenti e sofisticati, l’esistenza dei buchi neri venne confermata anche se non direttamente, ma dagli effetti visibili della loro presenza. Ci si accorse allora che esistevano almeno due categorie di buchi neri: quelli con una massa una decina di volte superiore a quella del nostro sole e quelli "super", con una massa equivalente a centinaia di migliaia e forse milioni di soli. Questi ultimi albergano al centro di tutte le galassie, anche della nostra, e la loro presenza è rivelata dal moto vorticoso delle stelle vicine (è il caso della nostra Via Lattea) o da getti di gas ad altissima temperatura che fanno parte del fenomeno di accrescimento del buco nero a spese del gas circostante.

Quindi, se da un lato gli astronomi hanno verificato ormai da molti anni la presenza nel cosmo di questi strani oggetti, nessuno era stato ancora in grado di fotografare da vicino il bordo di un buco nero, cioè il cosiddetto orizzonte oltre il quale il gas e la luce, una volta entrati, non possono più uscire. La difficoltà consisteva nel fatto che il diametro di un buco nero massiccio, di quelli che si trovano al centro delle galassie, è molto piccolo, dell’ordine dell’orbita di Saturno, che visto alla distanza di milioni di anni luce della galassia ospite diventa impercettibile anche al più grande telescopio terrestre.

Come sono quindi riusciti nell’impresa gli astronomi che ieri ne hanno mostrato la fotografia? Con un lavoro durato una decina d’anni hanno consorziato una decina di radiotelescopi terrestri sparsi in tutti i continenti, compresa l’Antartide. Impresa non facile, perché ogni telescopio ha caratteristiche proprie e per collaborare all’impresa doveva essere equipaggiato con strumentazione identica e soprattutto corredato di orologi atomici in grado di sincronizzare con altissima precisione le osservazioni contemporanee di tutti i telescopi. La tecnica, chiamata Large Baseline Interferometry, è ben nota ai radioastronomi, ma mai era stata utilizzata con un numero così grande di telescopi e a distanze così grandi: il risultato è equivalente ad osservare il cielo con un radiotelescopio delle dimensioni della Terra! Proprio a causa dell’estensione geografica dell’esperimento, uno dei problemi da superare, solo apparentemente banale, è stato quello di riuscire ad avere contemporaneamente condizioni metereologiche favorevoli in tutte le zone ospitanti i telescopi.

Un secondo formidabile problema è stato quello di gestire una quantità di dati veramente "astronomica": migliaia di milioni di milioni di byte! Per trasportarli dai singoli osservatori ai centri di calcolo che dovevano analizzarli si è ricorsi ad un metodo che sembrerà un ritorno al passato: una valigia caricata su un aereo... alla fine molto più veloce che trasmetterli attraverso la Rete!
Per comprendere quando sia stato difficile arrivare al risultato mostrato ieri, basti dire che le osservazioni sono state fatte due anni fa: questo il tempo necessario per analizzare i dati e confrontarli con le previsioni teoriche. Alla fine però il risultato è entusiasmante: abbiamo visto il bordo del buco nero, l’ombra scura generata dalla luce che lo sfiora e che ne delinea il contorno. Un’immagine al negativo che conferma in modo inequivocabile le previsioni di Einstein: il miglior modo per celebrare il grande genio e i primi cento anni della sua relatività generale.


Ordinario di Astrofisica all'Università di Padova
e Commissario straordinario dell'Agenzia Spaziale Italiana

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