Riportare la musica barocca a Venezia dove nacque nel XVII secolo è uno scopo nobile ma è significativo che tra i più attivi propugnatori ci sia il francese Venetian Centre for Baroque Music. L’istituzione, fondata in laguna nel 2011, organizza il Festival Monteverdi Vivaldi, la cui quarta edizione, che ha preso il via ieri nella Scuola grande di San Rocco con Jordi Savall, avrà tra i fili conduttori la musica di Francesco Cavalli. L’8 luglio a Ca’ Pesaro rivive per la prima volta in tempi moderni
L’Eritrea (1652) con Stefano Montanari alla guida dell’Orchestra barocca del Festival
Lo spirito della musica di Venezia. Il 12 luglio un convegno internazionale farà il punto sull’«Apogeo di Francesco Cavalli fra drammaturgia e musica sacra (1650-1656)». E proprio la produzione sacra sarà protagonista in San Marco il 25 luglio in un concerto nell’ambito delle celebrazioni per la canonizzazione di Giovanni XXIII, in cui la musica di Cavalli tornerà per la prima volta dopo secoli ad essere eseguita negli spazi per cui era nata. I tre eventi sono in coproduzione con il Teatro La Fenice. Ne parliamo con Olivier Lexa, direttore artistico del centro, autore della prima biografia di Cavalli (in uscita a settembre), e anche regista de
L’EritreaLexa, perché Francesco Cavalli?«Perché è il più grande compositore d’opera del Seicento. L’opera nasce come genere musicale di corte, ma a Venezia viene aperta al pubblico, che vi accede pagando un biglietto. Se la prima opera di questo tipo fu l’
Andromeda di Francesco Mannelli e Benedetto Ferrari, rappresentata nel 1637, il primo a capire davvero le potenzialità della novità fu Cavalli, che nel 1639 compose
Le nozze di Teti e Peleo: il primo di trenta lavori a cui deve la sua fortuna l’opera italiana. Tutte le grandi città volevano i suoi titoli, ricchi di arie di sicura presa presso il pubblico. Giasone fu il primo bestseller internazionale, e con il suo arrivo a Parigi fece nascere l’opera in Francia. L’importanza di Cavalli si misura a livello europeo».
La musica sacra di Cavalli ha legami con la produzione operistica?«No, la sua musica sacra, abbondante e di grande qualità, rientra nella tradizione veneziana e ha un linguaggio molto diverso rispetto all’opera. Per questo motivo è importante riportare alla luce Cavalli: in lui convivono due compositori diversi».
Qual è invece la fortuna moderna della sua musica?«È in atto una vera e propria Cavalli-renaissance. Questa riscoperta non ha avuto luogo prima perché della sua musica non esistono partiture a stampa ma solo manoscritti, spesso di difficile lettura se non incompleti. Oggi c’è invece un movimento internazionale importante, su di lui ci sono progetti anche negli Stati Uniti e in Australia. Abbiamo creato un gruppo di studi con la Società internazionale di musicologia e abbiamo avviato la pubblicazione completa delle sue opere».
Che opera è "L’Eritrea"?«È un titolo importante non solo per la qualità della musica ma anche perché è la prima opera buffa della storia. In altri suoi lavori sono presenti passaggi di commedia, ma qui il pedale spinge decisamente sul comico, con un doppio travestimento e un principe completamente pazzo. Sono personaggi e dinamiche che già fanno pensare al teatro goldoniano».
Che tipo di messa in scena sarà la sua? «In Eritrea mi sono concentrato sulla gestualità barocca, che sottolinea gli affetti e il senso delle parole. Come molto si è lavorato sullo studio della prassi esecutiva, così intendo farlo sulla messa in scena. Per servire l’opera barocca penso sia importante capire come è stata pensata da librettista e compositore, senza trasformarla».
L’opera barocca italiana viene più eseguita all’estero che in patria.«Ma è un fatto recente. In realtà in Italia si è fatto moltissimo nel passato. Ad esempio la prima esecuzione in tempi moderni di un’opera di Cavalli è avvenuta negli anni ’60 al Maggio musicale fiorentino, con Giulini sul podio. Un attivismo continuato negli anni ’70 e ’80. Poi l’interesse è diminuito, ma c’è un inversione di tendenza in questi ultimi tempi».
All’estero, però, l’opera barocca è nei cartelloni di teatri tradizionali...«Sì, la troviamo in Germania, in Francia, persino in Spagna. In Italia c’è anche un problema legato alle orchestre dei teatri d’opera che per ragioni sindacali non vogliono orchestre ospiti, specializzate o meno. Questo non accade all’estero, dove c’è anche una richiesta da parte del pubblico per questo tipo di musica. Il nostro festival sembra dimostrarlo: non solo il 70% del pubblico è italiano, ma in buona parte è di Venezia».