lunedì 8 gennaio 2018
Il calcio piange Antonio Valentin Angelillo, ex attaccante di Inter, Roma e Milan. Ecco l'ultima intervista che concesse ad Avvenire, due anni fa.
Angelillo, al centro, con la maglia della Nazionale insieme a José Altafini e Omar Sivori

Angelillo, al centro, con la maglia della Nazionale insieme a José Altafini e Omar Sivori

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Il mondo del calcio piange Antonio Valentin Angelillo, ex attaccante di Inter, Roma e Milan, e primatista di reti segnate in un campionato di serie A a 18 squadre, con 33 gol nella stagione 1958-'59. Il decesso è avvenuto venerdì scorso, 5 gennaio, ma la notizia era stata tenuta nascosta per volere della famiglia. Uomo riservato, non concedeva mai interviste, ma per il nostro Italo Cucci fece un'eccezione e qui sotto riproponiamo la "rara" conversazione pubblicata sulle pagine sportive di Avvenire il 21 gennaio 2016.

«Gonzalo ha un senso del gol straordinario, gli viene naturale, lascerà il segno. Paulo ha tutto, se non si perde e continua a migliorarsi fra un paio d'anni diventa Messi». Gonzalo Higuaín, Paulo Dybala: il campionato è nei piedi di due argentini che stanno allestendo la grande sfida Napoli-Juventus per la conquista dello scudetto 2016. Inter permettendo, con un altro argentino, Icardi, che ha i mezzi per favorire il successo nerazzurro. «Forse Icardi è il più completo. Ha solo bisogno di pensare più alla squadra che alla sua vita». Voilà: le parole sono gol - Higuaín 20, Dybala 11, Icardi 8 – e il racconto è di Antonio Valentin Angelillo, classe 1937, argentino di Buenos Aires che in Italia, in A, dal '58 al '68 di reti ne ha segnate 98, ma quel che conta di più è il record che conserva da 58 anni: 33 gol segnati nell'Inter nel campionato a 18 squadre 1958-'59. Solo Nordhal ha fatto meglio, 35, nella Serie A a 20 squadre nel 1949-'50. «Ma tu puoi ricordare – mi dice – che lui giocava nel Milan di Gren, di Liedholm, di Annovazzi, Frignani, mentre io nell'Inter avevo a fianco il giovane Corso, Firmani e Bicicli, compagni bravi ma vuoi mettere il mitico "Gre-No-Li"?».

Ha una bella voce allegra e squillante, Angelillo, che sovrasta rumori di fondo. Qué pasa, amigo?
«Mi sto divertendo con mio figlio Alessandro: la Rai sta trasmettendo tutti i miei gol... Sono tornato di moda!»

Grazie a Higuaín e Dybala...
«Anch'io ho fatto la mia parte, dai. Avevo poco più di vent'anni e facevo un mucchio di gol. Al Boca ne avevo segnati 34, prima di sbarcare a Milano. E molti anche di testa, mentre Higuaín».

Per il "Pipita" è difficile, il Napoli gioca palla a terra.
«Ma se Sarri lo aiuta ancora, ne farà anche di testa e allora ciao record. Gonzalo ha un solo problema, è esploso a 28 anni e sta recuperando il tempo e i gol perduti. Sarri ha fatto con lui un grande lavoro, lo ha affrontato nel modo giusto, si sono capiti e lui si è liberato».

Con Benítez ha anche sofferto, eppure l'aveva portato lui dal Real.
«Vedi, Benítez è un bravo allenatore ma è autorevole, importante, è arrivato a Napoli da grandi squadre, mentre Sarri ha imparato il mestiere in provincia, dove spesso devi far tutto da solo, e ha grandi qualità umane: si è subito accorto che il "Pipita" anche se non è più un ragazzino ha una grande sensibilità, gli ha detto le parole giuste, lo ha sollecitato come un padre ed ecco il miracolo. Uno che riesce a tenere sempre in palla Insigne e Mertens sa davvero il fatto suo. Qualcuno dice che Higuaín e io ci somigliamo ma in realtà siamo molto diversi, lui gioca in un calcio moderno fisico e veloce dove il contropiede è fulminante e si possono segnare doppiette, triplette».

E dire che il contropiede era l'arma migliore nella tua stagione...
«Sì, ma più lento, e altre erano le difese, fortissime, a volte dovevi accontentarti di vincere con un gol, come l'Inter d'oggi. Io invece di gol ne avevo una riserva inesauribile, se ti ricordi ho vinto anche una Coppa Italia con la Roma e allora era come vincere alla lotteria... Ma sai perché segnavo tanto? Il momento magico è stato quando in Nazionale Guillermo Stábile, eravamo nel 1956-1957, decide di farmi fare il centravanti con Sívori e Maschio, capisci che meraviglia? Ecco gli "Angeli dalla faccia sporca", ecco una leggenda del calcio! Gli osservatori italiani ci vedono e il gioco è fatto: io all'Inter, Sívori alla Juve, Maschio al Bologna. Ti icordi?»

Ricordo in particolare Maschio, la sua intelligenza, un architetto del calcio, ma non l'ho conosciuto di persona, mentre con te e Omar... Qualcuno dice che Dybala somiglia a Sívori...
«Aveva ragione Omar nel dire "ognuno somiglia solo a se stesso". Lui era nato dribblomane, faceva impazzire gli avversari, gli faceva male all'anima e al corpo, e allora lo inseguivano per fargli male, e lui scappava... Sívori è un mito. Tornammo dal torneo Sudamericano e affrontammo l'Uruguay andata e ritorno, tutti lo aspettavano a Montevideo per picchiarlo, e allora Pedernera, che mi aveva visto centravanti con Labruna all'Huracán, la squadra dietro casa mia, mi diceva: "Antonio va avanti tu!", così mi prendevo i difensori e Omar poteva stare più libero. Ma che fenomeno, che bellezza il suo calcio: ha fatto impazzire gli italiani».

E Gianni Agnelli che stravedeva per lui. Quando in amicizia parlavano di Pelè, di Maradona, lui narciso diceva: "dopo di me i più grandi".
«E che lingua. Se facesse il commentatore di calcio oggi, davanti a un tatticismo che fa parlare solo di moduli, di 4-3-3, 5-3-2, 4-4-2, 3-4-2-1, manderebbe al diavolo tutti. Il calcio che abbiamo giocato noi era naturale, favoloso, veniva non solo dal nostro corpo ma dall'anima».

Allora come oggi voi argentini venivate tutti in Italia, anche se le condizioni sociali in Argentina erano migliori.
«Molti giornalisti allora dicevano che i ragazzi argentini dovevano andare in Spagna per la lingua, forse non si erano accorti che a Mar del Plata, alla Boca, nell'intera Baires era pieno di italiani, si parlava italiano. Per molti come me l'Italia è subito diventata un'altra patria, io qui ho imparato tutto, tranne il calcio, mi sono sposato in civile a Brescia, in chiesa a Arezzo dove sto ora, ho dovuto anche aspettare vent'anni prima di rimettere piede in Argentina perché non avevo fatto il servizio militare. Eppoi la maglia azzurra... Però capisco anche chi, come Icardi, ha scelto la Selección. Oggi arrivano tanti argentini, magari spinti dal bisogno perché l'economia laggiù è cambiata».

Tu come te la passavi?
«Una famiglia modesta ma ho potuto studiare, sono diventato perito meccanico. Mio padre lavorava in macelleria, si alzava alle cinque del mattino, quando andavo a scuola passava a darmi un bacio, sapeva di sudore... Al resto pensava mamma, anche al calcio. Quando mi presero all'Arsenal, vicino a casa, ragazzino, era lei che gli raccontava i miei progressi. Era davvero una scuola, lì erano cresciuti Di Stéfano, Maschio, l'allenatore era Fortunato, un vero maestro. Quando ancora ero la mascotte vennero a vederci Perón e Evita, davamo spettacolo. Perón mi vide e mi regalò cento pesos, una bella cifra allora sai... Poi mi prese l'Huracán, poi al Boca per 4 milioni, poi all'Inter per 80. Mi ritrovai con altri argentini a Sanremo, ospiti di Moratti, con Recagni, Conte, Tacchi, Pesaola, che grande il "Petisso", aveva messo su un bar davanti al casinò. Che tempi!».

Ma adesso dimmi di Dybala.
«Mi ha colpito la sua trasformazione: a Palermo aveva un'aria da bambino buono, non dico spaventato ma contratto, prudente, e invece adesso ha l'aria sfrontata di un guerriero. Sarebbe piaciuto tanto anche lui all'Avvocato... A casa Juve si fanno questi miracoli, ti prendono bravo, ti fanno diventare fenomeno. Paulo è stato aiutato a crescere fisicamente e di carattere. I calciatori argentini hanno un problema, man mano che migliorano si fanno spavaldi, esagerano, fanno i divi, e invece sono sicuro che Dybala lo vedremo sempre più professionale e sicuro. Vedrai, tempo due anni e diventa Messi. Ha nel sangue il collettivo, si muove per sé e per gli altri, alla Juve è importante. Higuaín è un inventore, un solista, ma con Sarriè diventato più generoso, si trova facile con Callejón, con Hamsík, con Insigne».

A proposito: perché Messi non riesce e vincere un mondiale come ha fatto Diego?
«Perché al centro del Barcellona c'è lui, senza rivali, il più grande dei grandi, mentre in nazionale deve dividere responsabilità e gloria con altri. Maradona non aveva questo problema: lo consideravano tutti il migliore e gli volevano bene: era lui l'Argentina».

È arrivato il momento di chiederti: a chi lo scudetto?
«Juve e Napoli, Napoli e Juve, uno spettacolo tutto da vedere, il Napoli ha una carica d'entusiasmo micidiale, la Juve è un carro armato; ma anche l'Inter ha fatto passi da gigante, con un solo difetto: è forte dietro, è forte davanti, è vuota in mezzo, toccava a Kondogbia, è mancato, se Mancini trova l'uomo giusto».

Antonio Valentin Angelillo, in fondo cuore nerazzurro. Se Helenio non l'avesse avuto in uggia e scaricato, a quei 33 gol forse ne avrebbe aggiunti altri, come Nordhal, più di Nordhal. Ma è comunque leggenda.

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