
Controlli sui profughi alle frontiere - Ansa
È stato un decennio di denunce che si sono ripetute pressoché sempre uguali, avvalorate da testimonianze raccolte di prima mano, video, foto, persino da segni inequivocabili di violenza lasciati sui corpi delle persone in viaggio. Sono anni che dai confini esterni dell’Unione europea operatori umanitari, medici, esperti legali e giornalisti riferiscono storie di respingimenti collettivi, violenti e illegittimi secondo il diritto internazionale, condotti da autorità di frontiera ai danni di chi prova ad attraversare i confini in maniera non regolare. «Potrebbero dirci che siamo illegali e che perciò non ci fanno passare, ma che bisogno c’è di picchiare la gente? Perché farla spogliare, derubarla di tutto, anche delle scarpe?» chiedeva qualche tempo fa ad Avvenire un cittadino tunisino di nome Yassine, fermato mentre tentava di entrare in Bulgaria dal territorio turco. Le notizie di abusi circolano da tempo ma i soprusi proseguono, documentati, un report dopo l’altro. L’ultimo è stato pubblicato a febbraio da una rete di nove organizzazioni tra cui la polacca We Are Monitoring, il Centre for Legal Aid-Voice in Bulgaria e il Center for Peace Studies di Zagabria. Hanno raccolto tutti i dati a disposizione sui pushback alle frontiere esterne dell’Ue nel 2024, rilevati da organizzazioni per i diritti umani, Nazioni Unite, Ong locali e talvolta dagli stessi servizi governativi. In totale l’indagine dà notizia di almeno 120.457 casi singoli di persone respinte nell’arco dello scorso anno. Una stima per difetto, nell’impossibilità oggettiva di sapere quanti davvero siano stati, ma anche perché la cifra non tiene conto, tra gli altri, dei tanti episodi in acque territoriali tunisine (comprende, invece, quelli verso la Libia). Mentre l’Ue valuta la revisione dell’attuale direttiva sui rimpatri da accelerare per coloro che si trovano, senza diritto di esserlo, già all’interno dell’Unione, per chi prova ad avvicinarsi ai suoi confini è da lungo tempo che chiedere protezione è difficilissimo. «La tendenza generale indica una preoccupante normalizzazione dei respingimenti e un arretramento degli impegni dell’Ue nei confronti dei diritti umani», è la denuncia, per niente nuova, anche di questo rapporto. Ed è l’altra faccia del calo di arrivi registrato da Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che per il 2024 ha riferito di una diminuzione del 38% degli attraversamenti irregolari rispetto al 2023, con Balcani occidentali e Mediterraneo centrale rispettivamente a -78% e a -59%. Meno persone in arrivo perché sono trattenute sulla soglia dell’Unione. «I respingimenti, (…) diventati pratica sistematica all’interno della politica migratoria dell’Ue, sono spesso accompagnati da violenza e distruzione o confisca di beni personali», prosegue il rapporto. Vedendosi negata una valutazione individuale delle esigenze di protezione e senza l’opportunità di accedere alle procedure di asilo, si viene sommariamente e spesso collettivamente rimandati indietro, in violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (Cedu), di quella dell’Onu sui rifugiati e della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. È la Bulgaria, secondo il report, il Paese con il numero maggiore di casi nel 2024, oltre 52.530. Seguono, per volumi, le 21.760 persone intercettate e respinte forzatamente dal Mediterraneo verso la Libia. Operazioni condotte dalle autorità libiche, certo, ma che il report considera in tutto e per tutto azioni Ue, per il diretto coinvolgimento europeo in termini di supporto finanziario e materiale alle autorità locali. Nel Mar Egeo sono stati invece circa 14.480 i pushback (le persone rimandate indietro, ndr) operati dalla guardia costiera greca. Fra questi, anche i cosiddetti drift-back, in cui la si accusa di trasferire di nascosto le persone fermate su scialuppe gonfiabili di salvataggio per lasciarle alla deriva verso le coste turche. A gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la sistematicità dei respingimenti della Grecia, che però sono continuati. Il report passa poi in rassegna i numeri dei pushback in Ungheria, Polonia, Croazia, Cipro (verso il Libano), Lettonia, Lituania e Finlandia. Non tutti avvengono in segreto. C’è la «preoccupante tendenza alla legalizzazione dei respingimenti in alcuni stati membri, con la legge finlandese del 2024 che autorizza a limitare l’accoglienza delle domande di asilo alla frontiera». Norme simili sono già state adottate in Polonia, Lettonia e Lituania, compromettendo i diritti umani fondamentali di tutti indistintamente. Anche di coloro che, sui confini, andrebbero accolti e protetti.