Roald Dahl (1916-1990) - WikiCommons
Non accenna a placarsi la polemica relativa alla decisione editoriale di sottoporre i libri di Roald Dahl a un’attenta revisione linguistica. Correzioni imposte – questa l’accusa – da un “politicamente corretto” sempre più invasivo e da una cancel culture che tende ormai a non risparmiare più nulla e nessuno. Compreso, ora, lo scrittore britannico di origini norvegesi, scomparso nel 1990 all’età di 74 anni, uno dei più amati per bambini e ragazzi. La presenza di modifiche nelle nuove edizioni verrà d’ora in poi segnalata da una breve nota inserita nel colophon di ciascun libro: « Le parole sono importanti. Le magnifiche parole di Roald Dahl possono trasportare in mondi diversi e far conoscere personaggi meravigliosi. Questo libro è stato scritto tanti anni fa e quindi ne rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa essere apprezzato da tutte le persone anche oggi». Eppure la decisione di Puffin Books (branca del colosso editoriale Penguin), condivisa con gli eredi dell’autore, ha suscitato un polverone. Uno che di violenza censoria sa qualcosa, Salman Rushdie, ancora convalescente dalle conseguenze dell’attentato subìto l’anno scorso a New York (che gli è costato un occhio e l’uso della mano sinistra), ha twittato: «Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura, Puffin Books e gli eredi di Dahl dovrebbero vergognarsene».
Quali sono le parole di Dahl ritenute capaci di creare problemi ai suoi giovani lettori? Soprattutto quelle che fanno riferimento a difetti fisici e a stereotipi di genere o etnici. L’idea è di sostituire vocaboli quali «grasso», «brutto», « nano» e altre parole giudicate oggi sessiste o non inclusive con termini più neutri e meno connotati in senso negativo. Così «ciccione» diventa «enorme». I mitici Umpa-Lumpa, personaggi del popolarissimo “La fabbrica di cioccolato”, passano da «piccoli uomini» a «piccole persone» (peraltro, nella prima edizione del romanzo, 1964, erano descritti come «pigmei neri» trovati nella «giungla africana» dal protagonista che li aveva schiavizzati; in seguito, per evitare accuse di razzismo, lo stesso Dahl modificò il testo descrivendoli come creature di fantasia). La signorina Trunchbull del romanzo Matilde da «femmina formidabile» diventa «donna formidabile», mentre la signora Hoppy di Agura Trat, che prima era un’«attraente signora di mezza età», ora è semplicemente una «gentile signora di mezza età». Sono state rimosse le parole «matto» e «pazzo», legate alla segregazione dei portatori di disabilità mentale. Nel romanzo Le streghe leggevamo (nella traduzione italiana pubblicata da Salani): « Le streghe sono tutte donne. Non voglio parlar male delle donne. In genere sono adorabili. Ma tutte le streghe sono donne: è un fatto». Di questo brano la nuova edizione di Puffin Books ha mantenuto solo la prima frase. Ma ha senso un simile approccio editoriale? Se volessimo essere coerenti fino in fondo, le “pagine bianche” nella storia letteraria si moltiplicherebbero a dismisura.
Lisa Parola – storica dell’arte e autrice per Einaudi del saggio Giù i monumenti? Una questione aperta, dedicato alla cancel culture applicata ai manufatti artistici – invita a non stracciarsi le vesti e a cogliere l’occasione di questo dibattito per aprire una riflessione più ampia: « La censura in sé è sempre da respingere, ma forse varrebbe la pena chiedersi che cosa questa polemica ci dice della società in cui viviamo. In positivo, nell’iniziativa per quanto discussa dell’editore di Roald Dahl, possiamo cogliere un’attenzione ai bambini e alla loro sensibilità che alcuni decenni fa era meno presente. Però più che censurare le parole originali di Dahl, si potrebbero far leggere così come sono, facendo ragionare bambini e ragazzi sui temi della discriminazione e del bullismo. Credo nell’approfondimento e nel confronto, più che nella cancel culture, che non porta da nessuna parte».
Su questo concorda Alberto Carli, professore di Letteratura italiana contemporanea all’Università degli Studi del Molise, dove ha insegnato Teoria e storia della letteratura per l’infanzia: «Con questo tipo di modifiche, si intende forse mettere al riparo i bambini dal bullismo, evitando rappresentazioni negative di condizioni che spesso sono oggetto di scherno. Ma è un’illusione che così facendo si possa eliminare il bullismo. Si tratta piuttosto di insegnare ai più piccoli il rispetto degli altri indipendentemente da come sono, in modo che ciascuno possa sentirsi accettato per quello che è». Inoltre c’è anche un problema filologico che non può essere trascurato: « Dal punto di vista letterario, ogni testo va letto e interpretato nel suo contesto. Se si modifica un testo, si finisce per travisarlo, e in questo in modo non si giunge a una vera conoscenza né dell’opera né dell’epoca in cui essa è stata scritta. Il contesto non è solo storico, ma anche culturale. Piuttosto, di fronte a termini “problematici”, farei una nota a piè di pagina. Non tanto perché i bambini leggano le note, ma perché quello può essere lo spunto per il genitore o l’insegnante che legge un libro per approfondi-re in chiave critica certe questioni. Poi la fiaba, se non vogliamo risalire addirittura ai miti classici, ha da sempre presentato situazioni dolorose e spesso terrificanti. Dahl non ha fatto altro che riprendere l’armamentario delle fiabe tradizionali e riscriverlo in termini pop. La parola letteraria va rispettata, non ritoccata».
Raffaella Baccolini, ordinaria di Letteratura inglese presso il Dipartimento di interpretazione e traduzione dell’Università di Bologna, è la prima responsabile del progetto europeo G-Book (www.g-book.eu), finanziato dal programma “Europa creativa” dell’Unione Europea e volto a promuovere una letteratura per giovani positiva dal punto di vista dei ruoli e dei modelli di genere: « In questa discussione, da una parte vedo di buono un’attenzione all’inclusività, ma dall’altra sono piuttosto perplessa. Perché se apriamo una simile strada, rischiamo di dover riscrivere le opere di Omero, Shakespeare e tutti quanti. Invece la prospettiva potrebbe essere un’altra: aumentare la possibilità di leggere le cose e di leggerle criticamente. Per esempio si può affiancare la lettura di un libro problematico con un altro che affronti gli stessi temi da un punto di vista più inclusivo. Bisogna andare verso l’arricchimento, non verso la semplificazione. Con il progetto GBook, abbiamo costruito una bibliografia in 8 lingue per ragazze e ragazzi dai 3 ai 14 anni di oltre mille titoli». C’è, infine, una questione pedagogica, che è molto rilevante: « La tendenza a non disturbare, al lieto fine a tutti costi è sbagliata. Mettere al riparo i più piccoli da ogni cosa potenzialmente perturbante è un’illusione. Dobbiamo avere il coraggio di fidarci del fatto che ragazze e ragazzi trovino le risorse per leggere criticamente le opere e andare oltre una visione edulcorata della vita, che purtroppo non è reale».