Le
trivelle offshore?
Obama ci
ha ripensato e le ha fermate. E a breve, secondo alcuni media,
potrebbe imporre nuove regole più stringenti per le perforazioni
al largo delle coste.
Anche la concorrenta democratica numero uno alla Casa Bianca, Hillary
Clinton, è contro. L'onda lunga delle loro posizioni si
continua a infrangere sul dibattito italiano legato al
referendum del 17 aprile.
L'ex first lady aveva addirittura rotto
il "fronte" con Obama quando lo scorso maggio il presidente
aveva dato il via libera alle trivellazioni nella regione
artica: "quella regione è un tesoro unico. Le trivellazioni non
sono un rischio che vale la pena correre", aveva accusato.
Ma in ottobre Obama ha cambiato rotta, bloccando per i prossimi
due anni i piani per la concessione di licenze nell' area e
rifiutando di estendere quelle vendute in precedenza a Shell e
Statoil. Gli ambientalisti l'hanno celebrata come una vittoria,
ma sul dietro front ha pesato anche la precedente decisione
della Shell di cancellare alcuni progetti locali a causa dei
deludenti risultati preliminari e dei bassi prezzi del petrolio,
che rendono costosissime le trivellazioni in una regione ostile
come quella dell'Artico.
Dopo aver bloccato il mese successivo anche la costruzione
dell'oleodotto Keystone, che avrebbe dovuto importare petrolio
dal Canada, Obama ha proseguito la sua "svolta verde" facendo
retromarcia il mese scorso anche sulle trivellazioni di gas e
petrolio al largo della costa sud orientale dell'Atlantico.
Il
nuovo piano "protegge l'Atlantico per le generazioni future", ha
spiegato il ministro degli Interni americano, Sally Jewell.
Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia e Florida
rimarranno zone off limits per la ricerca e l'estrazione di
idrocarburi offshore fino al 2022. Il piano precedente era stato
approvato dal presidente nel 2015 dopo che governatori e
legislatori degli Stati interessati avevano espresso il loro
sostegno per le trivellazioni, confidando in nuovi posti di
lavoro e nell'aumento delle entrate statali.
La popolazione
locale e gli ambientalisti invece si erano opposti esprimendo
preoccupazione per la possibilità di incidenti come quello nel
Golfo del Messico, che nel 2010 causò la dispersione di milioni
di barili di petrolio anche sulle coste degli Stati vicini, con
danni liquidati recentemente in 20 miliardi di dollari a carico
della Bp. A pesare sulla decisione finale anche il Pentagono,
preoccupato per possibili interferenze con le attività militari
nell'area.