Il prolungamento dei controlli all’interno dell’area Schengen, almeno per altri sei mesi, è praticamente cosa fatta. Dopo la lettera inviata da sei Paesi alla Commissione Europea la scorsa settimana con questa richiesta, ieri una portavoce dell’esecutivo comunitario ha fatto capire che, probabilmente già domani, Bruxelles avanzerà una proposta proprio in questo senso. La portavoce ha definito la richiesta dei sei «in linea» con la strategia della Commissione, la quale, ha aggiunto, «già nella roadmap per tornare a Schengen (entro la fine del 2016, presentata a marzo, ndr) aveva previsto una comunicazione per permettere di estendere i controlli ai confini interni, da presentare al più tardi entro il 12 maggio», quando scade il limite massimo ordinario per i controlli decisi dalla Germania al confine austriaco. In gioco è l’articolo 26 del Codice Schengen, che consente di mantenere controlli alle frontiere interne fino a un massimo di due anni in caso di «carenze gravi e persistenti nel controllo alle frontiere esterne». L’oc- chio è rivolto ad Atene, la stessa portavoce ha anticipato che «nel rapporto sulla gestione della frontiera in Grecia si evidenziano ancora alcune deficienze cui deve essere posto rimedio». La portavoce ha avvertito che «le azioni al riguardo vanno prese ora, in modo da poter eliminare progressivamente i controlli ai confini fino a novembre ». Una scelta inevitabile se si vuole salvare Schengen: vari paesi, a cominciare dalla Germania e l’Austria, hanno fatto sapere che continueranno comunque i controlli alle frontiere.
Proprio ieri la Danimarca ha annunciato fino al 2 giugno il prolungamento dei controlli al confine tedesco. La speranza è che intanto proceda come previsto il nuovo corpo di guardie di frontiera Ue, che dovrebbe entrare in funzione in autunno. L’altro tassello è la Turchia. Ankara esige entro fine giugno la fine dell’obbligo di visti per i suoi cittadini diretti nell’area Schengen, minacciando di far saltare, altrimenti, l’accordo con l’Ue per frenare i flussi migratori. Ankara deve soddisfare 72 criteri, secondo indiscrezioni ne soddisfa per ora 63, ma questo dovrebbe bastare perché, probabilmente domani, la Commissione presenti un rapporto in cui raccomanderà la fine dei visti, «la Turchia – ha detto la portavoce – ha fatto molti sforzi nelle ultime settimane e negli ultimi giorni per soddisfare i criteri». Bruxelles dovrebbe comunque annunciare un nuovo rapporto per metà giugno per il verdetto finale. Francia, Germania, Austria e altri stati hanno chiesto però un «freno d’emergenza», e cioè la possibilità di ripristinare in qualsiasi momento l’obbligo di visti se la Turchia non rispetterà gli standard. E sempre domani è attesa la proposta formale della Commissione Europea per la riforma di Dublino. Dopo aver parlato con gli Stati membri, Bruxelles ha scelto l’opzione minima, e cioè quella del 'Dublin Plus': rimane tutto com’è (e cioè i richiedenti asilo devono fare domanda nel primo stato Ue toccato), salvo che un paese di prima linea non abbia raggiunto la soglia del 150% della sua capacità di accoglienza, in quel caso scatterebbe una ridistribuzione dei richiedenti asilo tra gli altri stati membri. Tra le ipotesi figura anche quella di consentire a singoli stati di 'sfilarsi' in cambio però di cospicui contributi finanziari. La speranza è di 'comprare' il sì anche dei riottosi paesi dell’Est.