Moratoria internazionale contro l’utero in affitto, riconoscimento dell’umanità del concepito, protezione contro ogni ingiusta discriminazione dovuta all’etnia, alle opinioni politiche, all’età, allo stato di salute o all’orientamento sessuale, tutela delle famiglie in difficoltà economiche, contrasto all’inverno demografico, diritto dei minori ad avere una mamma e un papà, a non diventare oggetto di compravendita, a ricevere un’educazione che non metta in discussione la loro identità e non li induca ad una sessualizzazione precoce. E ancora: diritto delle donne a ricevere una valida alternativa all’aborto, parità di trattamento salariale, conciliazione tra famiglia e lavoro, orari flessibili in chiave familiare, remunerazione per il lavoro casalingo, lotta alla droga, difesa del diritto dei genitori alla libertà di scelta educativa per i propri figli, specie per quanto riguarda affettività e sfera sessuale.
La “Dichiarazione finale” del Congresso mondiale delle famiglie di Verona, sottoscritta solennemente stamattina al termine dell’ultima giornata di lavori, costruisce un altro, gigantesco, libro dei sogni. Dopo le tante – troppe – promesse consegnate sabato pomeriggio da Salvini alla platea osannante dell’incontro, che hanno avuto tra le altre conseguenze quella di suscitare la reazione risentita del premier Conte per “sconfinamento di competenze”, oggi i leader delle associazioni sono riusciti a dilatare oltre misura quell’elenco già cospicuo, anzi iperbolico, di buone intenzioni. Tutti propositi lodevoli e condivisibili fino all’ultima parola, beninteso.
Obiettivi, tra l’altro, che l’associazionismo familiare costruito in 25 anni dal Forum delle famiglie, quello collaudato nel tempo e che rappresenta davvero quattro milioni di famiglie attraverso 564 associazioni locali, 47 nazionali e 18 forum regionali, porta avanti in modo dialogico, organico e coordinato. Ma le associazioni del Forum a Verona non erano presenti – per una serie di scelte ragionevoli - e le buone intenzioni del Congresso “mondiale” rischiano di apparire un po’ inconcludenti e molto velleitarie. Non perché i problemi indicati, ripetiamo, non siano tali e non meritino soluzioni tanto ponderate quanto urgenti – sono i “contenuti” che anche il Papa attraverso il cardinale Parolin ha riconosciuto come validi – quanto per la modalità caotica, per i toni esacerbati, per la volontà di contrapposizione, per le scelte politiche tutte orientate soltanto sulla Lega (oltre a Giorgia Meloni), per la rappresentanza internazionale proveniente al 90 per cento dall’Europa sovranista dell’Est. E quando le modalità sono costruite da una serie così rilevante di fattori inquinanti, anche la sostanza finisce per esserne intaccata e per suscitare reazioni scomposte ed esagerate.
Alla sfilata dei 25mila “oppositori” di sabato ha fatto da contraltare stamattina la marcia delle famiglie voluta a conclusione della tre giorni del Congresso. Diecimila persone forse, in una prova di forza che non serve a nessuno, tantomeno ai problemi reali delle famiglie. Dall’una e dall’altra parte, beninteso, tanta gente per bene, motivata, davvero convinta di scendere in piazza per una scelta orientata al bene comune. Ma possibile che chi ha pensato tutto ciò non si sia reso conto di quante energie sprecate, quanto odio alimentato e custodito come benzina di un motore destinato a non portare da nessuna parte. Quando la famiglia, bene di tutti, culla accogliente di vita e di fragilità, cuore pulsante di amore tenero e inclusivo, tessuto prezioso di relazioni che per essere tali devono indurre ad aprire le braccia in una logica di misericordiosa solidarietà fuori e dentro le porte di casa, viene usata come vessillo identitario, come progetto di una parte politica contro un’altra, finisce per creare divisioni e per determinare fenditure profonde nel corpo sociale. Ma abusare del portato simbolico della famiglia e delle sue esigenze vuol dire non rendersi conto che in questo modo la salute già precaria dell’istituto familiare rischia un collasso drammatico.
E così è stato. Ora chi mai potrà concretamente realizzare tutte le infinite richieste arrivate dal Congresso di Verona? Non certo la politica italiana. Sabato sera è arrivato a stretto giro di posta l’altolà dell’altro vicepremier, Di Maio: “Nulla di quanto emerso a Verona è nel contratto di governo”. E quindi tutto rinviato a data da destinarsi. Forse a un’altra legislatura. Forse mai. Cosa resta concretamente alle famiglie dopo i tre giorni del Congresso mondiale? Uno sforzo organizzativo sicuramente importante, alcune migliaia di famiglie coinvolte, alcune buone proposte ribadite e rilanciate ma che, come detto, rischiano ora di essere parcheggiate nel vuoto dell’impossibile. Ma a Verona sono arrivati anche – ci sembra giusto ricordarlo - toni esagerati, tesi non sempre condivisibili, inutili contrapposizioni, scelte politiche internazionali che, come detto, non possono non indurre il sospetto di una regia superiore tutt’altro che trasparente, con una saldatura tra tradizionalisti americani e sovranisti dell’Est europeo che lascia disorientati e che non può non interrogare chi segue con passione e con speranza le sorti sociali e politiche della famiglia. Non parliamo delle circa 500 persone presenti ai lavoro dell’incontro veronese. E non ne mettiamo in discussione la buona fede e le corrette intenzioni. Ma dei milioni di nuclei familiari a cui, nelle varie città d’Italia, è giunta eco di questo evento, indotti a pensare che le questioni in campo a Verona fossero solo diatribe lontane, scontri ideologici, tradizionalisti contro progressisti.
Perché quando la politica prende spazio in modo così ingombrante com’è successo, difficilmente la famiglia “non schierata” sente che quella battaglia la riguarda da vicino. Avverte puzza di strumentalizzazione, è portata a pensare che dietro quello scontro ci siano altri obiettivi, forse disegni elettorali, forse voglia di protagonismo, desiderio di rivalsa, personalismi, piccole strategie di parte. Se la questione famiglia è diventata divisiva per lo stesso mondo dell’associazionismo è evidente che qualcuno ha sbagliato a dosare toni e parole, non ha avuto cura di costruire alleanze di pace ma solo piani di battaglia, ha messo da parte la possibilità di far convergere le energie su obiettivi condivisi per privilegiare scelte oltranziste ed estremiste. Non tanto nella sostanza, lo ripeteremo fino alla noia, quanto nella modalità, nelle sottolineature, nella scelta dei compagni di strada, nei simboli, negli interpreti di quell’impegno (alcuni tra quelli visti qui a Verona davvero problematici). Così la famiglia, da scuola di fraternità, è diventata trincea di divisioni. E abbiamo perso tutti.