Manifestanti a Verona (Fotogramma)
«No all’utilizzo dei bambini», gridano sventolando bandane fucsia, il colore predominante perché così hanno chiesto le femministe di “Non una di meno”. Il riferimento è al tema delle nascite, dell’aborto e della denatalità trattato in questi giorni dal Congresso Mondiale delle Famiglie, contro il quale a Verona hanno sfilato ieri 25mila manifestanti di varie sigle giunti da tutta Italia. Ma poco più in là ai bambini portati in corteo vengono distribuiti album e figurine: “Gli impresentabili” è il titolo, le figurine sono i volti dei congressisti, ministri compresi (Fontana, della Famiglia, con braccio teso e fez fascista in testa, quello dell’Istruzione, Bussetti, brandisce una matita a due toni perché «colora tutte le scuole di rosa e azzurro»... Salvini è andato a ruba, nessuno l’ha visto).
In una Verona caldissima va in scena una protesta variopinta, a volte mascherata, a volte spiritosa, più spesso aggressiva, in qualche caso intollerante.
Le buone intenzioni, a cercar bene, ci sono, e pure le idee, ma annegano nel mare del conformismo. “No al potere della politica e della chiesa! Ci avete rubato la nostra vita, maledetti!”, inalbera il suo vessillo un ragazzo cui chiediamo spiegazioni. «La chiesa ci vuole morti tutti, in molti Paesi ha chiesto che veniamo incarcerati o addirittura condannati a morte». Ma chi? Dove? Chi siete i “noi”? Difficile dialogare, anche perché la folla aumenta e spinge per partire da Porta Nuova e raggiungere il centro.
È la fiera degli slogan, dai più classici “Tremate, le streghe son tornate”, riesumati dai bauli delle nonne (andavano forte nel ’68), alle rivisitazioni che alcune adolescenti in reggiseno (il caldo è opprimente, ma l’esibizionismo anche di più) hanno adottato scrivendosi sulla scollatura “Siamo le figlie delle streghe che non siete riusciti a bruciare”. Di nuovo slogan: “Manifestiamo per la libertà di essere donne”. E cosa significa, nei fatti? Che cosa chiedete? «Diritti». Quali? «Tutti», nessuno escluso, così non si sbaglia. Poco oltre finalmente un contenuto esplicito: “La donna è una persona, l’embrione no”, a sostenerlo è una ragazza con berrettino arcobaleno fatto all’uncinetto. Domanda: e se l’embrione fosse una donna sarebbe una persona, no? «No, perché l’embrione non ha cervello». A volte nemmeno le donne.
Si è fatta davvero tutto il percorso l’ex ministro Livia Turco, che sottolinea: «Siamo qui per ribadire la volontà di libertà femminile, che non è libero arbitrio, è la rivendicazione della differenza dei nostri corpi». «Nessuno minaccia la famiglia tradizionale – afferma Laura Boldrini – invece vedo minacciate le coppie omosessuali».
Tre ragazzi vestiti da monaci portano la teca di “Santa Mammana patrona degli aborti clandestini” e non importa che dal 1978 l’aborto sia legale, che sia pressoché l’unica prestazione sanitaria elargita sempre, ed entro tempi brevissimi (altrimenti scadrebbero i tre mesi), che ogni anno in Italia 90mila madri interrompano la gravidanza (spesso indotte a una scelta disperata perché non vedono alternative): i tre “frati” sono certi che in Italia non si riesca ad abortire, “Bentornato medioevo” scrivono sul cartello. “La 194 non si tocca” è il grido più diffuso, ma degli articoli che tutelano la maternità (come chiede la legge stessa fin dal titolo) non se ne parla proprio. Nessuno li ha mai letti, pare.
Curiosa la vignetta al collo di una donna arrivata con le amiche da Milano: “Procreate, urge lavoro minorile”, firmato “Conferenza nazionale della famiglia”. La denuncia è grave, davvero le associazioni familiari producono braccia per lavoro sottocosto? Occhi sgranati, lungo silenzio, poi la soluzione: «Ma è solo una vignetta! E poi mica l’ho fatta io»… Viene in soccorso l’amica: «Vogliamo dire che la naturalità non è patrimonio di nessuno, lo sfruttamento del corpo della donna va combattuto». Anche l’utero in affitto? «Per combatterlo occorre contrastare il sistema capitalistico che obbliga le donne povere a certe scelte, non succederebbe se avessero una vita dignitosa». Finalmente un concetto coerente.
Gaia, torinese, accetta il dialogo. È di “Rete Genitori Rainbow”, genitori lgbt con figli da relazioni eterosessuali. Niente utero in affitto, dunque, non comprano figli con denaro, non trattano le donne da incubatrici. «Io sono lesbica ma ho avuto un figlio 14 anni fa da un uomo», spiega Gaia. Poi ammette: «Una cosa che dicono al Congresso è vera, l’Italia non fa nulla per sostenere la maternità, non ci sono leggi ad hoc». Scolapasta in testa, il gruppo delle “Tagliatelle in piedi” sostiene che «l’amore conosce infinite ricette». Folklore, maschere, c’è proprio di tutto, anche chi fa satira politica del tipo “Salvini-Meloni non sposati con figli. W la coerenza!” (in effetti…). O chi chiede “Eutanasia per tutti”, mentre un gruppo di romane va giù con bestemmie in pennarello nero. Perché?, chiediamo. «Perché no?», rispondono. Poi si accorgono del pass che portiamo in vista al collo: ha il logo del Congresso ma è il pass della stampa, eppure fa l’effetto che il rosso fa ai tori, «te ne devi anda’ – spintonano –, non c’è posto per te, vattene o ti facciamo male», cercano di strappare il taccuino, addio tolleranza e “love is love”.
Finalmente il familiare simbolo della falce e martello, un po’ vintage ma rassicurante come i vecchi tempi. “Contro natura c’è solo il capitalismo”, dicono dal Partito Comunista dei Lavoratori e hanno argomenti non di poco conto, «il sistema di cura familiare che oggi manca del tutto, le donne sfruttate tre volte, sul lavoro, a casa e, come migranti, nei lavori più massacranti». Convincenti anche Magda e il figlio Alvise, arrivati da Padova con uno striscione, “Sogno una società in cui tutte le persone possano godere della benedizione della dignità umana”. Sono qui, spiegano, per promuovere l’unità dell’umanesimo e citano don Ciotti, «Dio non è cattolico perché è il Dio di tutti». Consolano anche i manifestanti di “Italia in Comune”, neo partito di centro sinistra: «Siamo contro qualsiasi mercificazione dell’essere umano, quindi anche la prostituzione e l’utero in affitto», spiegano Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri, e Maria Elena Martinez, padovana, medico.
Dev’essere un caso ma è romana anche la ragazza lesbica di “Futura” che, poco dopo, avvista il nostro pass e ci fotografa, «come ti permetti di stare vicino a noi?». Mi sta schedando. Siamo in 20mila, imbottigliati gomito a gomito, ma lei è convinta, «sei qui per spiarci, sei del Congresso»… Gli amici si scusano, «è abituata a essere discriminata». Il dubbio viene, chi è che discrimina chi?
“Il posto della donna è nella resistenza”, urla qualcuno. In tutti i sensi.