Augusto Caraceni
Non si può considerare la persona estraniata dal contesto sociale o familiare. Figuriamoci quando si tratta di un paziente, al compimento del percorso di vita, bisognoso di terapie che alleviano le sofferenze: è in quel momento che le cure si confrontano con tessuti relazionali fitti oppure slabbrati da tempo e dissapori. Il luogo dove la trama trova spesso sostegno è l’hospice ed è alle dinamiche qui costruite che guarda il webinar “La famiglia e il fine vita: tematiche etiche e non solo”, terzo di un ciclo di incontri dal titolo “Più umanità per medicina. Riconoscere e riscoprire l’umano nella pratica della medicina e nelle questioni aperte di bioetica”, promosso dall’Associazione medici cattolici (Amci) di Milano – sezione presieduta da Alberto Cozzi, appena eletto nel consiglio nazionale sotto la nuova guida di Stefano Ojetti – e rivolto prioritariamente agli operatori sanitari.
«Ci sono molti fattori che concorrono al percorso di cura – ha spiegato Augusto Caraceni, direttore della struttura complessa di Cure palliative, terapia del dolore e riabilitazione dell’Istituto Nazionale dei Tumori Irccs di Milano, oltre che direttore della Scuola di specializzazione in medicina e cure palliative dell’Università degli Studi Milano –. Tant’è che, a seconda dell’andamento della malattia, del nucleo familiare, delle terapie proposte e degli effetti, si può pensare a componenti che subiscono riequilibri». Nell’hospice, l’équipe compie una valutazione delle relazioni familiari e cerca di instaurare una comunicazione attenta, aiutata da psicologi, in cui le scelte della persona siano in primo piano. «L’analisi della situazione del paziente, inserito in una relazione sociale e familiare, è importante, anche quando i familiari sono assenti o c’è contrasto con loro». Sollecitato dalle domande dei partecipanti, moderate da Stefano Rusconi, docente di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano, Caraceni ha cercato di dipanare questioni e dubbi che interrogano opinione pubblica e comunità, in particolare sulle leggi che riguardano il fine vita o le dichiarazioni anticipate di trattamento.
A monte secondo il professore deve esserci un interrogativo: quanto sono informati i pazienti e le famiglie in merito all’accompagnamento della persona tramite le cure palliative? «La parola “palliativo” – ha osservato Caraceni – spesso solleva dubbi perché l’accezione creduta da molti è che siano superflue, ma non è cambiando il nome che mutiamo le condizioni. Il desiderio di abbreviare la sofferenza può passare per la testa, ma se trova una risposta adeguata porta alla capacità di arrivare al compimento della vita secondo l’evoluzione naturale della malattia». Alle persone e ai familiari si deve dunque dare la possibilità di informarsi e di accedere a un sistema di cure palliative efficiente e capace di assistere tutti: «Ci sono tante possibilità per migliorare la consapevolezza e guidare lungo la malattia. Molto è stato fatto – ha concluso Caraceni – ma bisogna lavorare sulla comunicazione e sulla cultura per la diffusione di queste terapie».