Valutare la sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo del 3 novembre scorso, secondo la quale il divieto di fecondazione eterologa non viola la Convenzione dei diritti dell’uomo sottoscritta da 47 Stati del Continente. È l’invito con cui la Corte costituzionale ieri ha restituito gli atti ai tre tribunali che le avevano posto il problema della legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, che fissa il divieto di fecondazione eterologa, ossia con ovociti o gameti non appartenenti alla coppia. Il punto significativo è che i giudici di Firenze, Catania e Milano avevano investito la Consulta basandosi proprio sulla sentenza di primo grado della Corte europea, nella quale si condannava l’Austria per il suo divieto di fecondazione eterologa. Ma la sentenza emessa dal plenum dei magistrati del Consiglio d’Europa, la Grande Chambre appunto, ha poi rovesciato completamente questo giudizio. Ciò nonostante, i ricorsi dei tribunali erano rimasti in piedi. La comunicazione del "giudice delle leggi" è arrivata nella serata di ieri, si attendono ora le motivazioni. In mattinata si era tenuta l’udienza pubblica che è durata più di due ore, aperta dall’intervento del giudice Giuseppe Tesauro. Il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini si dichiara «soddisfatto» della decisone della Corte perché si allinea con la sentenza della Grande Chambre. Il plenum di Strasburgo, spiega Casini, «nega che il divieto di eterologa vìoli i diritti umani, e di conseguenza lascia liberi gli Stati di decidere sulle modalità della fecondazione artificiale. E questo legittima le scelte che in Italia erano state fatte con la legge 40». Secondo l’europarlamentare, «la fecondazione eterologa nel nostro Paese resta vietata e probabilmente in via definitiva».Il bilanciamento tra i vari interessi in gioco, di competenza esclusiva del legislatore (principio che la Consulta ha implicitamente accettato), come evidenzia il presidente di Mpv, «non può dimenticare l’articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, secondo cui l’interesse del minore deve avere precedenza rispetto ai desideri degli adulti», dunque «gli Stati devono dare ai bambini il meglio di se stessi». E il meglio «non è certo l’eterologa».Nell’udienza pubblica della mattinata era intervenuto a sostegno della legge 40 l’avvocato dello Stato, Gabriella Palmieri, sostenendo che per cambiare norme di questo tipo «occorre una disciplina complessiva con un passaggio parlamentare. Eliminare il divieto di eterologa può essere fatto con una nuova legge, non con pronunce della Corte Costituzionale». «I giudici non possono supplire al Parlamento, che è l’unico che può decidere sul divieto di fecondazione eterologa», ha aggiunto l’avvocato. Peraltro il legale ha rilevato come tale norma «sia coerente con l’impostazione della legge, che è intervenuta in un momento dove c’era una assenza totale di regole». E dunque una «eliminazione secca» di tale divieto, senza una legislazione che disciplini compiutamente tutti gli aspetti, creerebbe «un vuoto normativo».Secondo gli avvocati delle tre coppie che hanno avviato una causa per poter praticare la fecondazione eterologa, invece, il divieto di questa tecnica violerebbe palesemente il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione. In tarda serata è giunto anche il commento del ministro della Salute Renato Balduzzi, per il quale «con riserva di leggere la motivazione, sembra che la Corte abbia valorizzato la decisione della Grande Chambre, secondo cui è materia di legittima competenza nazionale, di conseguenza spetta al giudice
a quo di valutare se e in quali termini riproporre la questione di legittimità costituzionale».