martedì 7 gennaio 2025
La storia di Alberto Rigolli, ginecologo, che con il Cuamm-Medici con l’Africa cura pazienti dall’Angola alla Tanzania «per restituire quello che ho ricevuto nella vita»
Il dottor Rigolli in Africa mentre visita una donna in gravidanza

Il dottor Rigolli in Africa mentre visita una donna in gravidanza - -

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Alberto Rigolli ci risponde al telefono dall’Italia, ma è rientrato solo da pochi giorni. Gli ultimi due mesi li ha passati in Angola e Tanzania come ginecologo e formatore per il Cuamm - Medici con l’Africa, l’organizzazione che opera in diversi Paesi per tutelare e promuovere la salute delle popolazioni africane. La sua voce porta un entusiasmo che lo accompagna da più di trent’anni di impegno sul campo, dalla Tanzania alla Sierra Leone, dallo Zambia all’Uganda. Rigolli racconta di volti e destini che, dice, “appaiono distanti da noi, ma una volta incrociati rimangono nel cuore molto a lungo”.

Come quello di una paziente ventenne incontrata negli anni Ottanta in Tanzania, malata di malaria cerebrale e rimasta in coma per diversi giorni. Una guarigione molto difficile, che però poi era avvenuta. La sua storia, racconta Rigolli, è ritornata alla memoria recentemente, quando gli è stato inviato un articolo di un quotidiano di quel periodo che raccontava in swahili (la lingua locale, ndr) proprio la vicenda di quella donna. Nell’articolo c’è anche una foto che ritrae Rigolli, giovane medico. Da quel momento a oggi i diversi contesti hanno presentato sfide sempre nuove. “Noi come Cuamm siamo impegnati in otto Paesi dell’Africa sub-sahariana - spiega il ginecologo -. Sono situazioni in cui, ad esempio, la mortalità materna è molto alta: parliamo di alcune migliaia di casi su 100mila nati vivi, rispetto ai 5 casi su 100mila nati vivi che abbiamo in Italia. È ovvio che il confronto è molto duro”. Mancano poi i medici, soprattutto gli specializzati. “Si lavora con una tecnologia più limitata ma con la possibilità di potenziare molto l’aspetto clinico, cioè portare una medicina del 2024 ma con meno risorse. Si impara che certe cose si possono fare bene anche in un contesto diverso da quello a cui siamo abituati”. Per questo, continua Rigolli, “dico sempre che nel curriculum di un medico italiano è giusto che ci sia un’esperienza professionale nei Paesi ad alte risorse, come gli Stati Uniti o l’Inghilterra, ma dovrebbe sempre esserci anche un’esperienza come quella che fanno gli specializzandi con il Cuamm nei Paesi cosiddetti a basse risorse”.

Alberto Rigolli nel reparto maternità di uno degli ospedali dove ha prestato servizio in Africa

Alberto Rigolli nel reparto maternità di uno degli ospedali dove ha prestato servizio in Africa - -

Negli anni, Rigolli ha visto anche tante situazioni cambiare in positivo: “Quando si parla di Africa purtroppo si usano molti stereotipi - specifica -. Il continente viene trattato come fosse un’unica entità, invece sono decine di Paesi, ciascuno le sue sfaccettature, non si può mai generalizzare. L’Africa è un territorio grandissimo, molto ricco di risorse, molto giovane e quindi soggetto a cambiamenti. Ho avuto questa percezione forte in Tanzania, dove sono tornato l’anno scorso, a trent’anni di distanza dalla mia prima permanenza. Ho trovato un cambiamento notevolissimo, molto miglioramento. Ci sono più medici e molti più specialisti grazie alla nascita di scuole di settore. Tutto varia da un Paese all’altro, ma ci sono contesti dove vengono fatti passi da gigante in pochi anni”.

Mentre racconta, più volte il ginecologo torna su due concetti: “Il mondo è uno” e “il diritto alla salute è fondamentale, alla base di tanti altri diritti. Se non hai la possibilità di essere sano farai fatica in tutti gli altri ambiti”. Sono consapevolezze che lo hanno sempre motivato a partire. “La mia esperienza con il Cuamm è nata quando ero ancora studente universitario. Mi piaceva molto il loro modo di lavorare, c’era un’attenzione particolare a come venivano portate avanti le cose. Il mio primo incarico come medico fu nel 1987, due anni in Tanzania, poi due in Uganda, poi di nuovo in Tanzania”. Rigolli non partiva da solo, come sottolinea più volte durante la nostra intervista: “I primi anni tutta la mia famiglia è venuta con me - racconta -. C’è stata una condivisione totale dell’esperienza con mia moglie, quelli sono stati gli anni più belli della mia vita. La mia prima figlia è nata là e anche gli altri figli sono cresciuti lì, hanno frequentato le scuole. Alcuni valori li hanno vissuti sin dall’inizio, non c’è stato bisogno di spiegarli”. Dopo quei primi anni Rigolli è tornato a Cremona ma con la valigia sempre pronta, spesso per visite in loco più brevi e con un’attenzione particolare alla formazione dei più giovani. Ora che è in pensione non si ferma: la prossima meta sarà probabilmente la Sierra Leone. Che cosa ha imparato nei suoi più di trent’anni di servizio? “Lavorare con il Cuamm è stato un modo per restituire tutto quello che ho ricevuto nella vita - risponde -. Penso di essere stato molto fortunato, ho potuto fare il medico per tanti anni in una città con tante risorse, ho potuto compiere la mia carriera anche come primario all’ospedale di Cremona, ho vissuto la gratificazione di poter insegnare ad altri medici. Mi sembra una cosa molto bella poter restituire parte di queste esperienze”. Al centro c’è sempre il senso della professione medica, conclude Rigolli: “Penso che da qualsiasi parte lo si voglia guardare, il nostro mestiere implichi sempre il dedicarsi a qualcuno che è in difficoltà, che fa fatica. Questo non cambia mai, che sia in Italia, in Africa o altrove”.

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