Il San Camillo (Ansa)
Continua lo scontro sul bando di concorso riservato a medici non obiettori di coscienza al San Camillo di Roma, che ha portato all'assunzione a tempo indeterminato di due professionisti (già in servizio con contratti a tempo) destinati al servizio di interruzione di gravidanza. Un bando assai contrastato perché non consente, come previsto invece dalla legge, il diritto all'obiezione di coscienza nei sei mesi di prova, e nemmeno in un tempo successivo, pena il trasferimento in altri ospedali su base regionale.
Dopo la pioggia di dichiarazioni politiche, oggi è arrivata la richiesta dell'Ordine dei medici di Roma alla Regione Lazio di revocare «l'atto iniquo» dell'assunzione. Giuseppe Lavra, presidente dell'Ordine provinciale, spiega che un concorso del genere ha il significato di «discriminazione» ai danni di chi esercita un diritto sancito dalla legge, cioè all'obiezione di coscienza.
Difende invece il concorso il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti: non c'è nulla di iniquo, perché nel testo del bando si fa riferimento solo alle funzioni da svolgere. Oltretutto, scrive Zingaretti, il bando è del 2015, è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale e pertanto «meraviglia che l'Ordine dei medici di Roma non conosca i contenuti» di tali atti, che non hanno avuto obiezioni nemmeno dal ministro della Salute. La Regione spiega inoltre che prima di bandire il concorso era stata percorsa la strada della mobilità sia volontaria sia interregionale, senza successo.
Anche il direttore generale dell'ospedale San Camillo, Fabrizio D'Alba, nega che ci sia stata discriminazione: l'assunzione era rivolta a due medici per il servizio di interruzione di gravidanza e dunque l'obiezione di coscienza, per così dire, si poneva a monte per chi intendeva partecipare a quel bando.
Di certo però la legge 194 non parla solo di aborto, ma anche e soprattutto di prevenzione dell'aborto. C'è da chiedersi come e quanto queste due nuove assunzioni garantiscano l'applicazione integrale della legge.
Ieri sulla questione si era pronunciato don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio per la pastorale della salute della Cei: «Così non si rispetta un diritto di natura costituzionale, qual è l'obiezione di coscienza».