Testimonianza. Massimo Segato, medico ginecologo non obiettore
«Anche il soldato uccide, ma più uccide e più prova nausea per la guerra, non vede l’ora di tornare a casa e ricominciare a fare altre cose...». Così si vede Massimo Segato, classe 1954, viceprimario di Ginecologia all’ospedale di Valdagno (Vicenza): come un uomo in trincea costretto a rispettare "gli ordini" (la legge 194 che ha reso legale l’aborto), ma con quei bambini mai nati che gli affollano la coscienza, perché «l’aborto è un fallimento sotto tutti gli aspetti. Non è mai stato un diritto, non lo abbiamo mai definito così e nemmeno la legge 194 si è mai sognata di considerarlo tale. È invece la guerra nauseante che abbiamo intrapreso in anni in cui, da giovane laureato, vidi donne morire di aborto clandestino e mi dissi che sarei stato dalla loro parte. Da allora ho interrotto migliaia di gravidanze».
La sua "prima volta" non gli è rimasta impressa, semplicemente perché all’epoca non gli sembrò un’azione dirompente: «Non me la ricordo, no, ma ero un ragazzo di 26 anni – si giustifica –, tirocinante all’ospedale Borgo Roma di Verona, mi stavano insegnando... Per noi era un intervento come un altro, e poi venivamo dal dibattito duro del 1978, c’era stata una preparazione ideologica, ci si sentiva coerenti con l’impegno per cui lottavamo. Poi però gli anni passano e la consapevolezza cresce».
Soprattutto grazie all’aiuto di Giulio, l’embrione che venti anni fa il dottor Segato era convinto di aver aspirato e invece era rimasto zitto zitto nell’utero di sua madre. «Fu l’errore più bello della mia vita – dice Segato, ripetendo quanto ha scritto nel libro L’ho fatto per le donne. Confessioni di un ginecologo non obiettore –. Quando scoprì di essere ancora incinta, la madre era furiosa con me, poi la incontrai mesi dopo con quel figlio in braccio ed era la donna più felice del mondo, ringraziava il Cielo per il mio errore. Invece non ho mai visto una donna felice dopo l’aborto». Così come, assicura, non ha mai visto un medico felice. «Non esistono medici abortisti, siamo tutti antiabortisti, solo che qualcuno si porta sulle spalle questo macigno. E guardi che le mie sensazioni sono condivise da tutti i miei colleghi, che lo dicano o meno. Io ho scelto di dirlo».
Non per questo ha fatto il passo ulteriore. Ha resistito infatti alla «forte tentazione di fare obiezione di coscienza» e piantarla lì con quella sporca guerra come il 70% dei medici, perché il suo credo laico nella legge 194 gliel’ha impedito: «Affinché le cose cambino non basta fare obiezione, occorre invece fare prevenzione seria, e d’altra parte la 194 è nata proprio per limitare gli aborti e porre fine al dramma degli interventi clandestini. Se venisse applicata davvero, delle 90mila interruzioni di gravidanza annue la stragrande maggioranza non avverrebbe». Non si fa nulla, infatti, per rimuovere le cause che hanno indotto la madre alla decisione più innaturale, e lei affonda nella sua solitudine. «Il dolore la tormenterà per sempre, soprattutto quando avrà altri figli, e allora non cesserà di pensare a quello mai nato».
Non solo: oggi l’85% dei ginecologi sono donne, una percentuale ancora in aumento, «e dopo che avranno avuto dei figli avranno seri problemi a praticare interruzioni di gravidanza», avverte Segato. Ha già visto molte sue colleghe diventare obiettrici dopo aver partorito, «non perché contrarie alla legge 194, ma non se la sentivano più, mi creda – si commuove –, non è facile fare questi interventi. Io ho massimo rispetto per i miei colleghi obiettori, non mi permetto di criticarli». Anche perché, ammette, la presunta carenza di personale disposto a praticare aborti è un falso ideologico: «In effetti non ho mai visto una madre costretta a tenersi il figlio per mancanza di medici. Succedesse una cosa simile, oggigiorno vincerebbe una causa milionaria», sorride finalmente in un’intervista che gli è costata molto: «Questo tema per me è una sofferenza».
Non c’è da stupirsi allora se il dottor Segato, pur non avendo mai fatto obiezione di coscienza, da dieci anni non pratica più aborti. «E mi creda, non ne sento certo la mancanza».