Vatican Media
Con la Messa di domenica 10 ottobre alle 10, presieduta da papa Francesco nella Basilica di San Pietro, si inaugura il Sinodo per la Chiesa universale e per la diocesi di Roma. Per le misure anti-Covid la celebrazione vedrà una partecipazione limitata di fedeli. La liturgia inizia con la processione dei cardinali e dei vescovi assieme a 25 rappresentanti dei diversi continenti. Il gruppo sarà composto da una persona ipovedente e dal suo accompagnatore, da due religiosi, da due giovani della pastorale giovanile, da una famiglia congolese con i due figli che vivono a Roma, da un diacono permanente con la moglie e i due figli, da un giovane della comunità romena di rito latino e da uno della comunità indiana di rito siro-malabarese, da un cappellano libanese maronita, da una coppia di fidanzati e altre due coppie, da un giovane sacerdote. Così il gruppo intende dare un volto a tutto il popolo di Dio che sarà protagonista della prima fase del processo sinodale con la «consultazione del popolo di Dio» in tutti le diocesi del mondo.
Il discorso di papa Francesco
Il Sinodo non è un “parlamento”, non è una “indagine”. Il protagonista del Sinodo deve essere lo Spirito Santo, se non ci sarà lo Spirito non ci sarà Sinodo. Con questa premessa, pronunciata a braccio, papa Francesco inizia il discorso che introduce il Momento di Riflessione per l’inizio del Processo Sinodale “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
Un discorso in cui il Pontefice indica le tre parole chiave del Sinodo (comunione, partecipazione, missione). I tre rischi che si corrono (formalismo, intellettualismo, immobilismo). E le tre opportunità che si aprono (incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente, diventare una Chiesa dell’ascolto, diventare una Chiesa della vicinanza).
Un discorso in cui Francesco si richiama al padre Yves Congar, “di santa memoria”, e indica la necessità di fare non “un’altra Chiesa” ma una “Chiesa diversa”: “questa è la sfida”.
Il Papa parla nell’Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, davanti ai rappresentanti del Popolo di Dio, tra delegati delle Riunioni Internazionali delle Conferenze Episcopali ed Organismi simili, membri della Curia Romana, delegati fraterni, delegati della vita consacrata e dei movimenti laicali ecclesiali, e il consiglio dei giovani.
Nel suo intervento il Pontefice innanzitutto indica le tre parole-chiave del Sinodo: comunione, partecipazione, missione. Comunione e missione “sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria”., ma “rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno”. Infatti celebrare un Sinodo “è sempre bello e importante”, ma “è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera”.
E questo “non per esigenze di stile, ma di fede”. Perché la partecipazione “è un’esigenza della fede battesimale”. Perché “il punto di partenza, nel corpo ecclesiale, è questo e nessun altro: il Battesimo”. Da esso, “nostra sorgente di vita, deriva l’uguale dignità dei figli di Dio, pur nella differenza di ministeri e carismi”. Per questo “tutti sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione”. E “se manca una reale partecipazione di tutto il Popolo di Dio, i discorsi sulla comunione rischiano di restare pie intenzioni”. Su questo aspetto si sono fatti “dei passi in avanti”, ma “si fa ancora una certa fatica e siamo costretti a registrare il disagio e la sofferenza di tanti operatori pastorali, degli organismi di partecipazione delle diocesi e delle parrocchie, delle donne che spesso sono ancora ai margini”. “Partecipare tutti: - esorta Francesco - è un impegno ecclesiale irrinunciabile!”.
A questo punto il Papa indica i tre rischi del cammino sinodale. Il primo è quello del formalismo, con un Sinodo ridotto ad “un evento straordinario, ma di facciata, proprio come se si restasse a guardare una bella facciata di una chiesa senza mai mettervi piede dentro”. Così “se parliamo di una Chiesa sinodale non possiamo accontentarci della forma, ma abbiamo anche bisogno di sostanza, di strumenti e strutture che favoriscano il dialogo e l’interazione nel Popolo di Dio, soprattutto tra sacerdoti e laici”. Perché, aggiunge a braccio, c’è sempre il rischio che il prete si consideri “il padrone della baracca”.
Un secondo rischio è quello dell’intellettualismo, in modo di far diventare il Sinodo “una specie di gruppo di studio, con interventi colti ma astratti sui problemi della Chiesa e sui mali del mondo; una sorta di ‘parlarci addosso’, dove si procede in modo superficiale e mondano, finendo per ricadere nelle solite sterili classificazioni ideologiche e partitiche e staccandosi dalla realtà del Popolo santo di Dio, dalla vita concreta delle comunità sparse per il mondo”.
Terzo rischio è quello dell’immobilismo, del “si è sempre fatto così”. “Questa parola – aggiunge a braccio - è un veleno nella vita della Chiesa”. Con il rischio è che alla fine “si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore”. Per questo è importante che il Sinodo “sia veramente tale, sia un processo in divenire; coinvolga, in fasi diverse e a partire dal basso, le Chiese locali, in un lavoro appassionato e incarnato, che imprima uno stile di comunione e partecipazione improntato alla missione”.
Dopo i tre rischi, le tre opportunità. La prima è quella di “incamminarci non occasionalmente ma strutturalmente verso una Chiesa sinodale: un luogo aperto, dove tutti si sentano a casa e possano partecipare”. La seconda è quella di diventare “una Chiesa dell’ascolto: di prenderci una pausa dai nostri ritmi, di arrestare le nostre ansie pastorali per fermarci ad ascoltare”. Di ascoltare lo Spirito nell’adorazione e nella preghiera, - quanto ci manca oggi la preghiera di adorazione! - ascoltare i fratelli e le sorelle sulle speranze e le crisi della fede nelle diverse zone del mondo, sulle urgenze di rinnovamento della vita pastorale, sui segnali che provengono dalle realtà locali”. Infine l’opportunità di diventare “una Chiesa della vicinanza che non solo a parole, ma con la presenza, stabilisca maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio”. Mai dimenticando “lo stile di Dio vicinanza, compassione, tenerezza”.
Infine la citazione del padre Congar: «Non bisogna fare un’altra Chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa». E l’invocazione dello Spirito: “Tu che susciti lingue nuove e metti sulle labbra parole di vita, preservaci dal diventare una Chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire. Vieni tra noi, perché nell’esperienza sinodale non ci lasciamo sopraffare dal disincanto, non annacquiamo la profezia, non finiamo per ridurre tutto a discussioni sterili. Vieni, Spirito d’amore, apri i nostri cuori all’ascolto. Vieni, Spirito di santità, rinnova il santo Popolo di Dio. Vieni, Spirito creatore, fai nuova la faccia della terra”.
Gli interventi
Prima del Pontefice sono intervenuti il gesuita del Burkina Faso Paul Berè e la spagnola Christina Inogés Sanz. Quindi il cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, poi le testimonianze di sei persone che rappresentano i cinque continenti: la sudafricana Dominique Yon del Consiglio dei giovani; la domenicana Donna Ciangio, cancelliere della diocesi di Newark negli Usa; l’arcivescovo coreano Lazarus You Heung-sik, prefetto della Congregazione per il clero; diverse famiglie dell’arcidiocesi di Brisbane in Australia: il brasiliano padre Zenildo Lima Da Silva, rettore del Seminario Manaus; frère Alois, priore di Taizè.
Il segretario generale del Sinodo, il cardinale Mario Grech, ha aperto la mattinata con un breve saluto e poi ha ripreso la parola con un discorso più approfondito, prima che nella seconda parte della mattinata i partecipanti si dividessero in 15 gruppi linguistici di lavoro, il cui scopo è innanzitutto quello di vivere un processo di ascolto e discernimento comunitario. Il porporato maltese garantisce l’ascolto anche per le «perplessità» e i «timori» dei titubanti: «Possono essere salutari per questo processo sinodale». E poi prospetta due ipotesi. Che per evitare la riduzione del Sinodo a parlamento il momento del voto venga riservato solo in casi eccezionali, come «istanza ultima e non desiderata» quando «il consenso non sia certo». E che la consegna del documento finale al Papa venga preceduto da «un altro passaggio», quello «di restituire le conclusioni dell’assemblea sinodale alle Chiese particolari dalle quali è iniziato tutto il processo sinodale».