Papa Francesco alla Messa a Floriana - Ansa / Vatican News
“Preghiamo ora per la pace, pensando alla tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, ancora sotto i bombardamenti di questa guerra sacrilega”. Papa Francesco chiude il saluto dopo aver guidato la preghiera dell’Angelus a Malta, nel secondo e ultimo giorno del suo 36° viaggio apostolico. E dal cuore del Mediterraneo non dimentica la tragedia che si sta consumando in Europa. Lo fa con poche parole forti, con cui ribadisce la sua riprovazione.
Parole che giungono al termine di una mattinata intensa, iniziata nel segno di San Paolo. Con la visita nella grotta in cui l’Apostolo visse nell’anno 60 durante la sua permanenza nell’isola dove era naufragato. Prima di raggiungerla incontra privatamente i confratelli gesuiti dell’isola.
Papa Francesco in preghiera nella grotta in cui visse San Paolo nell'anno 60 - Ansa / Vatican News
Nella grotta e nella basilica che la sovrasta il Papa recita due preghiere. Nella prima ricorda la “rara umanità” con cui Paolo venne trattato dalla “gente pagana di buon cuore” e invoca la “grazia” che oggi ci sia un altrettanto “buon cuore” per “riconoscere da lontano i bisogni di quanti lottano tra le onde del mare, sbattute sulle rocce di una riva sconosciuta”. Nella seconda, breve, chiede al Signore di accrescere “benigno la fede del popolo” maltese. La fede che venne testimoniata in queste isole per primo proprio dall’Apostolo delle genti.
Prima di lasciare la basilica, che si trova nella cittadina di Rabat, Francesco saluta i rappresentanti delle diverse comunità religiose e alcuni malati. Quindi lo spostamento, in auto e poi in papamobile, per raggiungere piazza dei granai a Floriana per la messa. Con una sosta a sorpresa per pregare nella cappella dedicata alla Madonna della Medaglia miracolosa dove sono custodite le spoglie di Giorgio Preca, santo amatissimo dai maltesi. L’atmosfera è gioiosa. Le campane delle chiese suonano a festa. Lungo la strada sono in tantissimi a salutare il successore di Pietro con le bandierine bianco-gialle del Vaticano.
Nel grande piazzale ci sono 20mila fedeli. Il Vangelo del giorno è il celebre episodio della donna adultera narrato da Giovanni. Nell’omelia il Papa lo commenta osservando che “anche nella nostra religiosità possono insinuarsi il tarlo dell’ipocrisia e il vizio di puntare il dito”. Infatti “in ogni tempo, in ogni comunità c’è “sempre il pericolo di fraintendere Gesù, di averne il nome sulle labbra ma di smentirlo nei fatti”. E “lo si può fare anche innalzando vessilli con la croce”. Perché “chi crede di difendere la fede puntando il dito contro gli altri avrà pure una visione religiosa, ma non sposa lo spirito del Vangelo, perché dimentica la misericordia, che è il cuore di Dio”.
Gli accusatori della donna adultera, spiega Francesco, “si ergono a paladini di Dio ma non si accorgono di calpestare i fratelli”. Sono “convinti di non avere nulla da imparare”. In effetti “il loro apparato esterno è perfetto, ma manca la verità del cuore”. Sono così “il ritratto di quei credenti che, in ogni tempo, fanno della fede un elemento di facciata, dove ciò che risalta è l’esteriorità solenne, ma manca la povertà interiore, che è il tesoro più prezioso dell’uomo”. Infatti, per Gesù “quello che conta è l’apertura disponibile di chi non si sente arrivato, bensì bisognoso di salvezza”.
Il Signore, rimarca il Papa, “desidera che anche noi suoi discepoli, noi come Chiesa, perdonati da Lui, diventiamo testimoni instancabili di riconciliazione: testimoni di un Dio per il quale non esiste la parola “irrecuperabile”; di un Dio che sempre perdona, sempre perdona”. “Dio – ribadisce - sempre perdona; siamo noi a stancarci di chiedere perdono”. Dio “perdona sempre tutto”. “Tutto”, ripete.
Così è proprio l’adultera, “che ha conosciuto la misericordia nella sua miseria e che va nel mondo risanata dal perdono di Gesù”, a suggerire alla Chiesa, di rimettersi “da capo alla scuola del Vangelo, alla scuola del Dio della speranza che sempre sorprende”. “Se lo imitiamo, - conclude Francesco - non saremo portati a concentrarci sulla denuncia dei peccati, ma a metterci con amore alla ricerca dei peccatori. Non staremo a contare i presenti, ma andremo in cerca degli assenti. Non torneremo a puntare il dito, ma inizieremo a porci in ascolto. Non scarteremo i disprezzati, ma guarderemo come primi coloro che sono considerati ultimi”.
Al termine della messa la preghiera dell’Angelus. Quindi il trasferimento in nunziatura per il pranzo.
La visita al Centro di accoglienza per migranti “Giovanni XXIII Peace Lab” è la conclusione e il culmine della due giorni di Papa Francesco a Malta. Al suo arrivo il Pontefice è accolto dal Direttore della Pastorale dei Migranti e dal Direttore del Centro e insieme si recano verso il teatro all’aperto dove sono presenti circa 200 migranti. Durante il tragitto il Papa sosta brevemente presso un alloggio e saluta i suoi abitanti. Dopo il canto d’inizio e il saluto dell’anziano fondatore, il francescano Dionisio Mintoff, due ospiti del Centro portano la loro testimonianza. Quindi Francesco pronuncia il discorso.
“In questo incontro con voi migranti – spiega il Papa - emerge pienamente il significato del motto del mio viaggio a Malta”. Si tratta di una citazione degli Atti degli Apostoli che dice: “Ci trattarono con rara umanità”. E si riferisce al modo in cui i maltesi accolsero l’Apostolo Paolo e tutti quelli che insieme a lui erano naufragati nei pressi dell’Isola. Li trattarono “con rara umanità”. “Non solo con umanità, - sottolinea Francesco - ma con una umanità non comune, una premura speciale, che San Luca ha voluto immortalare nel libro degli Atti”. Di qui l’augurio a Malta “di trattare sempre in questo modo quanti approdano alle sue coste, di essere davvero per loro un ‘porto sicuro’”.
Francesco ribadisce che “quella del naufragio è un’esperienza che migliaia di uomini, donne e bambini hanno fatto in questi anni nel Mediterraneo”. E “purtroppo per molti di loro è stata tragica”. Il Papa ricorda i morti nel Mediterraneo negli ultimi giorni. Invita a pregare per loro e anche per “un altro naufragio che si consuma mentre succedono questi fatti”. E’ “il naufragio della civiltà”, che “minaccia non solo i profughi, ma tutti noi”. Ma “come possiamo salvarci da questo naufragio che rischia di far affondare la nave della nostra civiltà?”. La risposta è semplice e impegnativa: “Comportandoci con umanità”. Così, ad esempio, è “importante” che i centri di accoglienza “siano luoghi di umanità!”.
Il Papa accenna anche alle “migliaia e migliaia di persone che nei giorni scorsi sono state costrette a fuggire dall’Ucraina a causa della guerra ingiusta e selvaggia”. Rivolge il pensiero a chi è obbligato a lasciare la propria casa in Asia, in Africa e nelle Americhe. Cita esplicitamente il caso dei rohingya, popolo in fuga dal Myanmar.
Francesco confessa di avere un sogno. Che i migranti, “dopo aver sperimentato un’accoglienza ricca di umanità e di fraternità”, possano “diventare in prima persona testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità”. Ma prendendo spunto dalle lamentele espresse nelle testimonianze, si dice cosciente che “questo sogno si scontra con una realtà dura, spesso pericolosa, a volte terribile, disumana”. Infatti ci sono “milioni di migranti i cui diritti fondamentali sono violati, purtroppo a volte con la complicità delle autorità competenti”. Francesco pronuncia queste parole con particolare enfasi. “Voglio ripeterlo così”, sottolinea a braccio. E scandisce di nuovo: “purtroppo a volte con la complicità delle autorità competenti”.
Per il Papa quindi è arrivato il momento di rispondere “alla sfida dei migranti e dei rifugiati con lo stile dell’umanità”, di accendere “fuochi di fraternità, intorno ai quali le persone possano riscaldarsi, risollevarsi, riaccendere la speranza”. Di rafforzare insomma “il tessuto dell’amicizia sociale e la cultura dell’incontro, partendo da luoghi come questo, che certamente non saranno perfetti, ma sono ‘laboratori di pace’”.
Con questo discorso si chiude il viaggio del Papa a Malta. Francesco è provato, in questa due giorni ha sempre camminato con difficoltà per il dolore al ginocchio che non lo abbandona. Anche sull’aereo che lo riporta a Roma non sale sulle scale ma con un piccolo ascensore appositamente attrezzato. Ma è raggiante per l’accoglienza, davvero calorosa, ricevuta. Una gioia velata, e non manca occasione di manifestarlo, dalle notizie che continuano ad arrivare dall’Ucraina.