Papa Francesco, parlando ai vescovi italiani, sembra aver dato un’altra dimensione all’idea del Sinodo, circolata negli ultimi mesi: una delle non molte idee nel panorama di dibattiti, un po’ impoverito, del cattolicesimo italiano. Che ci fosse questa povertà, lo si era visto a gennaio scorso nelle varie rievocazioni per il centenario dell’appello ai 'liberi e forti', ispirato da Sturzo, che fondò il Partito Popolare nel 1919 (senza passare attraverso l’episcopato italiano e con un blando assenso vaticano).
Queste rievocazioni sinora non hanno aggiunto granché alla conoscenza storica né avanzato proposte per il presente, ma hanno espresso sinceramente la nostalgia per un tempo, in cui i cattolici erano capaci d’iniziativa incisiva. Francesco è intervenuto ora sull’idea di sinodo, in modo diverso da com’era stato proposto in precedenza. Questa diversità non è stata in genere colta dai commentatori. Il Papa propone, oltre che «dall’alto in basso», «una sinodalità dal basso in alto» che inizi dalle diocesi: «Non si può fare un sinodo senza andare alla base… e la valutazione del ruolo dei laici». Questo processo s’incrocia con la ripresa del suo discorso al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel 2015, un testo – ha sottolineato – che «rimane ancora vigente». L’espressione 'vigente' riferita a un discorso appare un originale rafforzativo. A Firenze il Papa ha chiesto di approfondire l’Evangelii gaudium in ogni comunità, diocesi, parrocchia, «in modo sinodale».
Era il 2015. Nella Chiesa e in Italia (qui al governo del Paese era saldamente Matteo Renzi, ora tutto è cambiato). Viene da chiedersi perché la proposta di Firenze in più di tre anni sia stata ripresa solo in parte. Non ci sono dietro forze oscure, quanto pigrizie, il sopravanzare dei calendari e delle logiche istituzionali. Assieme alla volontà è mancata la fantasia. Papa Francesco voleva proporre la sua 'rivoluzione', che non c’è stata. Utopia? Forse. Ma bisognerebbe spiegare perché non è avvenuta la recezione del discorso in diverse diocesi. Quantomeno sarebbe da spiegare perché non si è ritenuto di avviare un processo che avrebbe 'squilibrato' l’organica vita diocesana, in cui non si poteva incasellare tranquillamente il messaggio dell’Evangelii gaudium che ambiva trasformare a fondo la Chiesa locale con la «scelta missionaria». Recentemente, parlando alla diocesi di Roma, il Papa ha fatto l’elogio dello squilibrio («il Vangelo… è una dottrina 'squilibrata'») contro l’organizzazione, dopo aver lamentato che la proposta di Firenze non sia stata discussa nelle diocesi. E ora la ripropone.
Ma – lo ripeto – bisogna spiegare perché non è stata ripresa, o se il Papa si sbaglia. Il vero problema è che si è venuta a creare una qualche 'sordità' ai messaggi, forse per il profluvio di parole del nostro tempo o per uno scarso ascolto. C’è anche tra non pochi credenti un’abitudine alla fruizione tutta autoreferenziale dei messaggi religiosi, con relativa disattenzione alle parole, anche autorevoli, giudicate non utili a sé. L’ascolto sembra così non radicarsi in una comunità o in una storia, ma in una prospettiva autoreferenziale. E poi la macchina della gestione va avanti.
Il cambiamento nelle Chiese locali, cui il Papa invita, è una trasformazione sinodale dal basso, comunionale con la valorizzazione dei laici. Spinge ad allontanarsi da un’organizzazione ereditata dal passato, un po’ trasformata, ma poco attrattiva anche se funzionale, e per natura clericale. Il Papa ha detto a Firenze: «La Chiesa sia fermento di dialogo, d’incontro, di unità…. Il modo migliore di dialogare non è… parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme…». In questi anni, le Chiese si sono aperte ancor più ai poveri e ai rifugiati. Resta, però, il compito di decentrarsi da una dimensione istituzionale verso una realtà di comunità di popolo: tale dimensione popolare sarà anche un antidoto ai richiami della paura e della rabbia, forti su cristiani fuori da una rete di dialogo e comunione. Infatti, anche se non in modo clamoroso, parti del mondo dei cattolici vengono 'occupate' da posizioni vicine ai sovranisti e ai tradizionalisti.
Le espressioni gridate contro Francesco in un comizio politico a Milano sono segnali e incoraggiamenti ad ambienti e organizzazioni ostili al Papa. Mondi da non sottovalutare, che vivono una compatibilità tra fede e posizioni antiimmigrati e ostili all’azione di carità del Papa e della Chiesa… Mondi da non demonizzare, ma da reinserire in un tessuto di comunicazione ecclesiale, di messaggi, di chiavi di lettura e di sentimenti. Tra cattolici, in Italia, si percepisce però un vuoto di visioni sul futuro, mentre c’è un certo blocco nella ricerca di nuove prospettive, forse per un rimpallo dell’iniziativa dall’una all’altra istituzione o istanza. E poi tutto si annoda e il tempo passa. Intanto il Paese attraversa la grave crisi, di cui siamo coscienti, mentre la Chiesa è la più ramificata realtà di popolo nella società. Si ha la sensazione che, in questa fase politica, si stia disegnando un’altra società, meno plurale, meno fatta di comunità intermedie, d’iniziative sociali (molto spesso espressione della Chiesa). Niente è per caso. L’ha detto chiaramente il cardinal Bassetti a proposito del raddoppio della tassazione sugli enti che fanno attività non commerciale: è evidente che si vuole un’altra società, non quella del legame sociale, quella che il lavoro e la presenza dei cristiani perseguono quotidianamente. Sarà più dominabile dalle emozioni.
Torna il problema del vuoto: di pensieri lunghi e di parole che scaldino i cuori di fronte al Paese, al mondo in difficoltà per la pace, a un’Europa che si scompone, a un’Africa che si allontana... Papa Bergoglio, ancora da cardinale, ha parlato della necessità di far crescere una cultura: «Giovanni Paolo II – ha scritto – diceva una cosa molto coraggiosa: una fede che non si fa cultura non è una vera fede. Sottolineava il creare cultura». Creare una cultura (che sia anche di popolo) è necessario in una società atomizzata. Una cultura con pensieri lunghi e parole che appassionino. Emmanuel Mounier ammoniva: «Il cristianesimo non è minacciato di eresia: non appassiona più abbastanza, perché ciò possa avvenire. È minacciato da una specie di silenziosa apostasia provocata dall’indifferenza… e dalla sua propria distrazione… ». La grande sfida oggi è appassionarsi e appassionare al cristianesimo e al Vangelo, mentre, nella paura del mondo, prevale la passione per sé o per un 'noi' contro gli altri.