(Reuters)
Gli Obama e i Clinton, i Blair e i Cameron. La lista potrebbe continuare e sono soltanto la punta dell’iceberg. Coppie di successo, colte, danarose e soprattutto sposate. L’Economist, settimanale britannico, dedica regolarmente articoli alle nuove classi dirigenti britanniche e americane che controllano il potere grazie a un mix indissolubile di stabilità e influenza. I più poveri sono spesso individui indebitati, oppure ragazze madri abbandonate dal partner, i padri separati. I ricchi sanno iniziare i figli alla costruzione della ricchezza e anche a valori come il matrimonio. Classi separate persino da una diversa pronuncia dell’inglese tra una casta di ricchissimi, che si sposano tra di loro, come nelle unioni combinate dai genitori di una volta, e una sottoclasse di poveri con legami affettivi più fluidi. Esiste un’ampia letteratura scientifica sul sistema sociale di Stati Uniti e Regno Unito che cerca di ritrovare un legame tra sussidi e esenzioni fiscali e tipologia della famiglia. Un tema delicato perché, se è difficile dimostrare che l’intervento dello Stato produca un certo tipo di famiglia, si nota che un assegno familiare individuale, di solito incassato dalla mamma, scoraggia la formazione o la ripresa del rapporto di coppia.
Rita Griffiths, in Non c’è nessun amore quando si riceve il sussidio di disoccupazione. L’influenza del sistema di welfare basato sul reddito del Regno Unito sulla struttura delle famiglie, sostiene che marito e moglie con figli rappresentano una forma di organizzazione del lavoro capace di resistere meglio alla povertà e meno dipendente dai sussidi dello Stato rispetto a case guidate da un genitore solo. Lanciando così un appello perché il sistema sociale consenta anche alle coppie accesso ai sussidi. L’autrice raccoglie le testimonianze di una cinquantina di mamme britanniche molte delle quali hanno concordato con il papà dei figli la separazione perché i sussidi dello Stato, così, sono più sostanziosi. Parcel e Campbell, in un articolo intitolato Può il welfare sostituire i genitori? Capacità cognitive dei figli negli Stati Uniti e in Gran Bretagna concludono che «famiglie non costituite da due genitori sono di solito associate con risultati scolastici peggiori dei figli».
Pur riconoscendo il ruolo indispensabile dello Stato come tampone, quando uno dei genitori manca e le condizioni economiche sono più difficili, si domandano «quanto investimento nei figli debba venire dai genitori e quanto dalla società». Intendendo per investimento non quello economico ma il capitale sociale ovvero l’attenzione, il tempo, le energie e gli stimoli culturali che si offrono ai minori. Mamma e papà sposati felicemente e affluenti sono garanzia di figli di successo, purché anche la donna lavori e il marito non sia impegnato tutto il tempo in ufficio, conclude lo studio. Basta il titolo dell’articolo di Robert Rector, ricercatore all’'Istituto per la famiglia' alla 'Heritage Foundation' di Washington per far capire la tesi dell’autore: «Come il welfare indebolisce la famiglia e che cosa si può fare». È interessante che questa letteratura scientifica non voglia promuovere a tutti i costi l’ideale perfetto di una coppia di marito e moglie ma piuttosto cercare di capire che cosa sta succedendo.
Così fa l’economista cattolico David Paton, all’università di Nottingham, studiando la contraccezione. «Come scienziati sociali non ci viene chiesto di dire se un comportamento è giusto o sbagliato ma piuttosto di analizzare, in modo oggettivo, i risultati disponibili», spiega. «Purtroppo nel nostro settore, a differenza di quello scientifico, non si possono ottenere prove certe in laboratorio». «In alcuni casi, come per la pillola del giorno dopo, esistono almeno cinquanta studi che dimostrano che l’uso di questo anticoncezionale incoraggia gli adolescenti a rischiare di più, in tema di sessualità, abbassando l’età del primo rapporto, mentre non riduce il numero di aborti come vorrebbe lo Stato. Ad aumentare sono invece le infezioni trasmesse per via sessuale». Gli studi di Paton ripropongono il tema dell’impatto che l’intervento pubblico ha su ambiti di vita tradizionalmente controllati dalla famiglia e dalla società e in che misura le politiche sociali ottengano gli effetti per i quali sono state pensate. Un altro consenso, nella letteratura sociologica anglosassone, è il riconoscimento che le generazioni future saranno più povere di quelle attuali.
Già oggi - lo conferma l’Economist, sostenuto dall’'Istituto di studi fiscali'- in Gran Bretagna il reddito medio di un pensionato è superiore a quello di un lavoratore maschio e lo scarto è destinato ad aumentare nei prossimi dieci anni. Non certo il risultato che si pensava di ottenere quando il concetto di risparmio per la vecchiaia è stato fatto proprio dal sistema pubblico e si è dato per scontato che le generazioni future avrebbero avuto prospettive migliori di quelle passate. «In passato era la famiglia il sistema di sicurezza sociale per la vecchiaia, sostenuto, anche da chi guadagnava poco, con risparmi e qualche forma di pensione», spiega Philip Booth, docente di finanza e politiche pubbliche all’università cattolica londinese di st. Mary’s. «Le pensioni di Stato – aggiunge – sono poi state collegate alle tasse dei lavoratori perché si pensava che, così, gli anziani del dopoguerra avrebbero ottenuto un premio in più. Questo sistema è stato finanziato con il boom di nascite degli anni cinquanta e sessanta. Era la cosiddetta solidarietà intergenerazionale, un patto tra i lavoratori di oggi e coloro che non sono ancora nati».
O forse non sarebbero mai nati. Proprio quello che è successo con la crisi demografica che rende, oggi, questo sistema pensionistico insostenibile. Se pensiamo anche che, con l’età media di vita in continuo aumento, si è aggiunta un’incognita non prevista cinquant’anni fa che rende ancora più onerosa la vecchiaia. Forza della famiglia, ruolo dello Stato, interventi del settore sociale in sfere delicate come sessualità, cura degli anziani e pensioni. «Una persona che viene privata della possibilità di guadagnarsi uno stipendio finisce per dipendere dallo Stato sociale e da coloro che lo controllano. La sua dignità ne viene diminuita e così la strada verso la costruzione di un’autentica comunità umana», scriveva san Giovanni Paolo II nella Centesimus annus. Come non pensare a quella sottoclasse di poverissimi costretti da generazioni a dipendere dai sussidi perché non viene offerta loro alternativa? «L’accoglienza e la lotta alla povertà passano in gran parte attraverso il lavoro», ha detto papa Francesco lo scorso ottobre a Bologna, in piazza Maggiore, durante l’incontro con il mondo del lavoro e i disoccupati. E ancora nella stessa occasione: «Non si offre vero aiuto ai poveri senza che possano trovare lavoro e dignità».
È di questi giorni l’appello degli insegnanti cattolici britannici che hanno espresso preoccupazione per le ultime statistiche che dicono che, nel Regno Unito, il numero di bambini che vive al di sotto della soglia di povertà raggiungerà il record di 5,2 milioni nei prossimi cinque anni. Nella dottrina sociale cattolica lo Stato viene pensato come rete di protezione indispensabile avvertendo, nello stesso tempo, del rischio che la sua invadenza impedisca alla famiglia e alla società civile di svilupparsi pienamente. Encicliche sociali e letteratura scientifica concordano. Stato e società, famiglia e sicurezza sociale. Un equilibrio delicatissimo, sempre difficile da raggiungere.