E alla fine è una sola parola a spiazzare. A liberare il campo dagli stratagemmi, dalle speculazioni ideologiche, dai diktat delle agende, dal silenzio: Querida. L’ha messa a fuoco una donna, una di quelle che parlano sommessamente perché portano con loro il vero potere, quello del servizio vissuto, una semplice missionaria che ieri è stata chiamata a presentare in Vaticano la nuova esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco sull’Amazzonia. «Querida – ha detto – è una parola che in portoghese ha un significato molto grande, speciale, che non si può tradurre. Esprime insieme amore, tenerezza, conoscenza, cura, protezione, passione, affetto in abbondanza». Praticamente è la sintesi e l’anima stessa dell’esortazione.
Ed è non solo la rotta per un percorso attraverso l’Amazzonia ma anche la via sulla quale il Papa sta tirando il carro di tutta la Chiesa da sette anni. Tanto per indicare che questa è la strada, ci ha portati in Amazzonia per farcelo capire, dato che questa terra «è anche "nostra"», considerando che è vitale per noi, è pars pro toto dell’umanità e riguarda la Chiesa universale per le sue problematiche. Dunque per il Papa rappresenta una "totalità" e un "luogo teologico" che obbliga la Chiesa a non dimenticarsi di come essere tale, non solo in Amazzonia.
Francesco l’ha indicata fin dall’inizio. Era l’estate 2013 quando durante la Gmg di Rio de Janeiro sottolineava ai vescovi brasiliani che «l’Amazzonia è la cartina di tornasole della Chiesa»: «C’è un punto che ritengo rilevante per il cammino attuale e futuro non solo della Chiesa in Brasile», disse invitando tutti «a riflettere» sul «forte richiamo al rispetto e alla custodia dell’intera creazione che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente ma perché lo renda un giardino. Ma vorrei aggiungere che va ulteriormente incentivata e rilanciata l’opera della Chiesa. Servono formatori qualificati nel campo della formazione di un clero autoctono, anche per avere sacerdoti adattati alle condizioni locali e consolidare, per così dire, il "volto amazzonico" della Chiesa. In questo, per favore, vi chiedo di essere coraggiosi, intrepidi».
Lo stesso indirizzo che conclude l’esortazione, figlia dell’enciclica Laudato si’, lo porta oggi ad affermare con ancora più urgente consapevolezza ecclesiale che «in questo momento storico l’Amazzonia ci sfida a superare prospettive limitate, soluzioni pragmatiche che rimangono chiuse in aspetti parziali delle grandi questioni, al fine di cercare vie più ampie e coraggiose».
Vie, appunto, che nel «sogno ecclesiale» di una Chiesa fedele alla sua missione non possono essere le scappatoie semplicistiche, le strategie di marketing, i dogmatismi e gli escamotage per non coinvolgersi con la complessità del reale, per non sporcarsi le mani: queste possono essere le prerogative di una istituzione imprenditrice, non le scelte di una Chiesa missionaria, non la strada di un rinnovato slancio frutto della grazia, cioè del lasciar spazio all’azione di Dio, per un vero rinnovamento ecclesiale che possa suscitare la crescita di una vita nuova e di una fede incarnata. In Amazzonia come altrove.
Il Sinodo non è nato per un sì o un no ai preti sposati. «Papa Francesco – come fa osservare una nota del Dicastero vaticano per la comunicazione – testimonia uno sguardo che eccede le diatribe dialettiche che hanno finito per rappresentare il Sinodo quasi come un referendum sulla possibilità di ordinare sacerdoti uomini sposati». Nell’esortazione il Papa scrive che «possiamo contemplare l’Amazzonia e non solo analizzarla, e possiamo amarla e non solo utilizzarla. Di più, possiamo sentirci intimamente uniti a essa e non solo difenderla, e allora diventerà nostra come una madre».
Questo è lo sguardo che può scaturire solo dal coraggio dell’amore, quello racchiuso nella parola querida. Che è anche quello della speranza per il più grande lavoro di Dio, «accettato con coraggio e generosità» e con il quale stare nell’immensa complessità delle nostre "amazzonie". Perché tutto questo vale non solo per l’Amazzonia ma per tutti noi.