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Cominciamo dai fatti. La Casa Bianca ha espulso da un volo presidenziale l'Associated Press (Ap) a cui già era stato impedito di partecipare a una conferenza stampa con il presidente Donald Trump e il primo ministro indiano Narendra Modi. Motivo? L’agenzia di stampa si rifiuta di cambiare nome al Golfo del Messico, che d’ora in avanti per ordine presidenziale deve essere indicato semplicemente come “Gulf of America”.
Nel messianismo trumpiano il rifiuto a testa alta non è cosa da poco. Impartire i nomi per decreto è qualcosa di più del potere stesso. Se per il Vecchio Testamento il Creatore «chiamò il firmamento cielo», perché il capo di una potenza mondiale non può chiamare i flutti come gli pare?
Ricominciamo dai fatti. È già la terza volta che l’Ap si vede sbattere in faccia la porta d’ingresso. «Nessuno ha il diritto di entrare nello Studio Ovale e fare domande al presidente degli Stati Uniti», ha detto la portavoce di Trump rispondendo alle rimostranze dell’agenzia che fornisce notizie a circa 1.700 giornali e 5.000 emittenti radiotelevisive in oltre 120 paesi del mondo. I giornalisti di Ap hanno spiegato che continueranno a usare il nome adottato dalla cartografia mondiale, tuttavia aggiungendo che negli Usa, almeno per i prossimi quattro anni, le acque che bagnano le coste meridionali sono state ribattezzate dal presidente. Non è bastato. E dalla Casa Bianca hanno voluto essere più espliciti: «Ci riserviamo il diritto di decidere chi può entrare nello Studio Ovale», quel santo graal della superpotenza, trasformato pochi giorni fa nella posticcia navata di un tempio invaso da telepredicatori che stendono la mano sul prescelto alla guida della nazione.
I protagonisti di questa storia non sono solo i fatti. E neanche chi li racconta. La Casa Bianca rivendica la propria decisione. «È un fatto che il tratto di mare davanti alla costa della Lousiana si chiami Golfo d’America e non so bene perché i media non vogliano chiamarlo in quel modo, mentre il segretario all’Interno ha ufficializzato la definizione», ha reagito la portavoce, Karoline Leavitt. «Apple l’ha riconosciuta, Google l’ha riconosciuta – ha insistito – è importante che sia chiamato in quel modo, non solo per le persone che sono qui ma per il resto del mondo». In realtà il nome “Gulf of America” appare su Google Maps solo negli Stati Uniti, in Messico continua a chiamarsi “Gulf of Mexico”. Nel resto del mondo la dicitura di “Golfo del Messico” è seguita dalla scritta tra parentesi di “Golfo d’America”.
Il tentativo della Casa Bianca di regolamentare il linguaggio utilizzato dai media indipendenti, e il castigo dell’espulsione dalle conferenze stampa, «segnano una brusca escalation nei rapporti, spesso tesi, di Trump con le organizzazioni giornalistiche», riassume l’Associated Press in un raro articolo di commento. La posta in gioco, però, non è il solo giornalismo, perché il giornalismo non è una maglia pesante di cui disfarsi al cambio di stagione. Succede quando anche la democrazia finisce per essere un soprammobile sulla scrivania di un leader, da spolverare e tenere in bella vista per le foto di gruppo.
L’eterna lotta tra chi detiene il potere e chi non vuole tra i piedi chi per mestiere (e per scelta dei lettori) è chiamato a mettere in questione gli inquilini del Palazzo, è qualcosa di più. Julie Pace, vicepresidente dell'Associated Press, ha lanciato un allarme che travalica le vaste coste del “Golfo d’America”.
«Esortiamo l'amministrazione Trump a fermare questa pratica con la massima fermezza», ha scritto al capo dello staff del presidente, chiedendo di interrompere il «disservizio per i miliardi di persone che si affidano all'Associated Press per avere notizie non di parte».
Mai come in questo tempo, dal “Golfo del Messico” al Mar Nero, dal Mare cinese al Pacifico, siedono allo stesso tavolo i delegati dagli elettori e i sacerdoti della nuova supereconomia. Gli uni al servizio degli altri, e viceversa. Pensare che sia solo un problema dei gringos di Washington vuol dire non avere capito che le acque del “Golfo d’America”, per così dire, bagnano anche le nostre spiagge.
Una volta Joseph Pulitzer, nel cui nome vengono assegnati i più importanti riconoscimenti al giornalismo Usa, scrisse: «Solo il perseguimento dei più alti ideali, la più coscienziosa determinazione a far bene, la più scrupolosa conoscenza dei problemi da trattare e un sincero senso di responsabilità morale riusciranno a salvare il giornalismo dall’asservimento agli interessi economici, che mirano a fini egoistici in contrasto con il bene pubblico». Era il 1904, appena ieri.