Sanare subito il vulnus costituzionale nella legge che vieta il finanziamento della produzione di mine antipersona e munizioni a grappolo. In fretta. Prima che la sessione di bilancio e lo scioglimento delle Camere la faccia saltare in aria. Ong e società civile, che da sette anni seguivano l’iter travagliato del testo, ora lanciano un appello pressante al Parlamento perché corregga e approvi – rapidamente e una volta per tutte – il testo che il Quirinale ha rinviato ai legislatori, dopo il sì conclusivo alla Camera del 6 ottobre: 389 sì, 3 astenuti, nessun no. Una lettera della Campagna italiana contro le mine sta arrivando nelle caselle di tutti i parlamentari. Primo passo di un pressing condiviso da altre realtà, come la Rete italiana per il disarmo e la campagna Banche Armate. I l Senato, dopo l’altolà di Sergio Mattarella, ha in realtà subito ri-assegnato, il 27 ottobre, il disegno di legge S.57bis alla Commissione finanze. Manca però la calendarizzazione.
«La modifica chiesta dalla Presidenza della Repubblica può essere fatta in tre giorni», assicura Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine. «Basta dare mandato alla Commissione, dare la sede deliberante per evitare l’aula, modificare solo i commi 2 e 3 dell’articolo 6, equiparando le pene a quelle della legge 95 del 2011. Il resto non va riesaminato. Poi tocca alla Camera ». È una legge di grande importanza, sottolinea il direttore della Campagna antimine: perché al divieto di produzione e commercio – già sancito dalla 95/2011 – si aggiunge il divieto, per i soggetti finanziari italiani, di sostenere economicamente aziende all’estero. Cioè in quegli oltre trenta Paesi che non hanno sottoscritto la Convenzione di Ottawa. Tra cui Stati Uniti, Russia, India, Cina, Israele e altri ancora.
Il nodo che il Presidente ha chiesto di sciogliere è proprio lì: dove cioè si stabiliscono sanzioni solo finanziarie ai soggetti che rivestono ruoli apicali e di controllo, ad esempio i vertici di banche e istituti di intermediazione finanziaria. Soggetti per i quali invece la legge 95 prevedeva condanne detentive. Una sorta di depenalizzazione? Di sicuro una disarmonia, che ha obbligato il Quirinale a segnalare il caso. I legislatori dovranno quindi esplicitare che anche per i vertici bancari e finanziari che trafficano all’estero con questi ordigni è previsto il carcere. «Nessuno credeva che la legge sarebbe stata approvata così rapidamente, ora sarebbe davvero una beffa se la correzione non arrivasse rapidamente», fa notare Giuseppe Schiavello. «Di più, sarebbe un paradosso: la prima legge nella storia della Repubblica, votata all’unanimità in due legislature in sette anni che non riesce a essere promulgata».
Ed è una legge di grande importanza, sottolinea la Campagna: «Per la prima volta si regolano con chiarezza alcuni meccanismi, senza lasciarli all’interpretazione e alla responsabilità sociale delle aziende di credito e finanziarie. La legge 95 già lo affermava, ma senza specificarli». Secondo la Campagna italiana contro le mine «il testo approvato alla Camera per un mero errore non aveva recepito l’articolo 7, quello sulle sanzioni, della legge 95/2011». Schiavello ha seguito passo dopo passo tutto l’iter: «Non esiste nessuna “regia occulta” né tantomeno “cambiamenti all’ultimo secondo”». La prova? «Negli ultimi passaggi alla Camera non sono stati apportati emendamenti, né della prima ora né, tantomeno, dell’ultimo secondo».
Ora perciò la Campagna chiede al Parlamento di aggiungere rapidamente la pena detentiva che manca all’articolo 6: «Lo deve fare quantomeno per dignità. Niente più dell’approvazione rapida – conclude il direttore della Campagna italiana contro le mine – potrebbe smentire la subdola tesi di voler favorire la categoria meno popolare di questi tempi: i “banchieri”. Se i legislatori non correggeranno il testo, allora davvero saremmo autorizzati a pensare che qualcuno è in malafede».
La lettera inviata a tutti i deputati si chiude con un appello toccante: «Egregio Onorevole, senza il suo necessario impegno vedremo naufragare, ancora una volta, una legge che tutti desiderano ma che si scontra con interessi legati a una bulimìa del profitto che alimenta l’altare sacrificale di civili, soprattutto donne, anziani e bambini, che oggi sono purtroppo solo punti nelle linee dei grafici di profitto di molti investitori. Linee che vediamo rosse, come il sangue che ne determina il loro incessante trend in ascesa».
Concorda Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo. «La “pezza” giuridica alla legge può e deve essere fatta in breve tempo: è un provvedimento ancora... “in garanzia”», scherza. «E poi è una delle poche leggi di iniziativa parlamentare – dice Vignarca – che l’Italia può esibire come un fiore all’occhiello: lo ha fatto l’ambasciatore permanente d’Italia Vinicio Mati presso la Conferenza del disarmo a Ginevra delle Nazioni Unite». Il coordinatore della Rete Disarmo si appella ai legislatori: «Una legge così non può essere fermata da un cavillo, per quanto giuridicamente fondato. I tempi sono stretti ma ci sono, se si vuole. E si deve volere».
Per Giorgio Beretta, analista della Campagna di pressione alle Banche armate «la legge in questione è quanto mai rilevante. Sebbene le principali banche italiane abbiano già da tempo adottato delle direttive in materia, resta il fatto che il rapporto pubblicato a maggio dalla Cluster Munition Coalition ( Coalizione contro le bombe a grappolo) segnala che diversi istituti di credito italiani, tra cui IntesaSanPaolo, UniCredit, Generali, dovrebbero adottare misure più rigorose e trasparenti per escludere ogni tipo di finanziamento alla produzione di questi ordigni».
Giorgio Beretta ricorda che istituti di credito esteri che hanno acquisito banche italiane «tuttora considerano le mine antipersona e le bombe a grappolo tra i “settori controversi”. Mentre si tratta di ordigni messi al bando da Trattati internazionali». Secondo il rapporto, l’unica banca italiana che con garanzie verificabili non investe in questi ordigni è Banca Etica.
DA SAPERE
Due Convenzioni per vietarle, ma tanti le producono ancora
La convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione – conosciuto anche come trattato di Ottawa perché firmato nella città canadese – è il trattato che si propone di eliminare completamente la produzione e l’utilizzo di questi subdoli strumenti di morte, che restano nascosti e uccidono o mutilano spesso anche i civili, rendendo ampie zone inabitabili o estremamente pericolose. Entrato in vigore il 1º marzo 1999 con la ratifica di 40 Stati, oggi vede l’adesione di 160 Paesi, compresa l’Italia, che fino alla metà degli anni Novanta è stata una delle principali produttrici di mine antiuomo. Non hanno invece firmato la convenzione alcuni Stati decisivi per importanza militare e politica, fra cui Stati Uniti, Russia, Cina, Israele, Arabia Saudita, Iran e Pakistan. Le bombe a grappolo sono invece ordigni che hanno al loro interno molti ordigni minori, che si disperdono sul terreno esplodendo subito o rimanendo come minaccia potenziale per lungo tempo. Il loro utilizzo è proibito dalla convenzione Onu adottata il 30 maggio 2008 a Dublino. È entrata in vigore il 1º agosto 2010, sei mesi dopo esser stata ratificata da 30 Stati. L’Italia vi ha aderito successivamente. Come per le mine antiuomo, tuttavia, importanti Stati produttori di munizioni non hanno firmato il bando, tra cui Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Pakistan e Brasile.