(Fondazione don Primo Mazzolari)
«Lasciate che io vi dica una parola intorno alla guerra... è un punto oscuro dell’umanità, la ricapitolazione di tutte le ingiustizie e di tutti i dolori umani. Però, cari fratelli, vi faccio una domanda: trovatemi una giustificazione che Dio vuole la guerra, perché quando si fanno certe affermazioni bisogna anche documentarle. Voi mi direte: ma i popoli cristiani hanno fatto le guerre... i popoli cristiani sono come tutti gli altri quando dimenticano il Vangelo, anzi, diventano peggiori degli altri... e allora perché volete fare del Padre il massacratore?». Mentre i carboni della guerra sono ancora incandescenti, don Primo Mazzolari pronuncia di getto queste parole che andranno poi a confluire in Tu non uccidere, che verrà messo all’indice dal Sant’Uffizio. Il primo provvedimento di censura dei suoi scritti emesso dalle autorità ecclesiastiche è del 1934, l’ultimo del 1960, quando Mazzolari era ormai morto.
Il Sant’Uffizio ricordava allora che era ancora in vigore il divieto di stampare il libro proibito del 1934, La più bella avventura, che è un ampio commento alla parabola evangelica del figliol prodigo, dove don Primo indicava al «cattolicesimo la necessità di aprirsi ai lontani e di abbandonare ogni atteggiamento da cittadella di paura e di contrapposizione polemica verso coloro che erano considerati estranei alla comunità cristiana». Gli scritti di quegli anni: La parola ai poveri, Misericordia per Giuda, Il Samaritano, Impegno con Cristo, Tempo di credere subiscono tutti la stessa sorte. Mazzolari obbedì alle ingiunzioni di non scrivere, poi di non dare interviste, poi di non predicare fuori provincia, poi di restare nella propria parrocchia, facendo presente che era contestato non su aspetti della dottrina. Obbediente ma libero, pur se con grande sofferenza interiore. La sua obbedienza è stata soprattutto al Vangelo e a Cristo. I temi al centro della riflessione del parroco di Bozzolo sono la pace, i poveri, i laici, la giustizia sociale, il rinnovamento della vita missionaria. Mazzolari si spende per un cristianesimo incarnato dentro la storia, che s’impegna in una prospettiva evangelica a trasformare il mondo amandolo. La centralità dei poveri e la misericordia sono al cuore della sua riflessione. «Mettere i poveri davanti, ai primi posti – scriveva – una volta tanto, potrebbe anche essere una messa in scena. Gesù li mette davanti, ma c’è anche lui coi poveri, povero come tutti e di più. Egli non è uno spettatore: fa il povero, è il Povero». E allora si comprende perché il Papa abbia letto pressoché tutto di don Primo in questi quattro anni di pontificato, citandolo più volte. Ma non si tratta qui semplicemente di una consonanza con il pensiero personale del Papa.
Coglieva nel segno Carlo Maria Martini quando affermava che «don Primo Mazzolari fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo sine glossa il cuore del suo ministero»: «Capace di scrutare i segni dei tempi – aggiungeva – condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri e li pose in alto, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell’agire di Dio». E andava ancora nel segno affermando che «è prezioso anche per l’oggi». Lo stesso intese Giovanni XXIII, che vedeva nell’agire del prete della diocesi di Cremona il soffio, anzi, «la tromba» dello Spirito. E fu così anche per Montini, che senza incertezze lo assimilava al «destino dei profeti», i quali camminano avanti «con un passo troppo lungo, e spesso noi non gli si poteva tener dietro! Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi». Ma ancora prima di Giovanni XXIII e di Paolo VI, c’è anche il futuro Giovanni Paolo I, che aveva incontrato Mazzolari a Vicenza alla fine di agosto del 1949, in un raduno di sacerdoti proprio quando l’avventura del suo giornale Adesso era appena cominciata e aveva già iniziato a far parlare in quell’Italia ancora in preda agli odi tra vincitori e vinti e alla rivolta dei miserabili nelle campagne e nelle fabbriche.
Mazzolari era arrivato nel Triveneto per la settimana interregionale del clero, e incarnandosi nelle situazioni concrete e cruciali del tempo aveva posto sul tavolo gli interrogativi dell’urgente questione rurale, la predicazione, la stampa, il catechismo. Gli stessi aratri di Luciani, con i quali sia l’uno che l’altro aravano già la risalita alle sorgenti compiuta poi dal Concilio. Su Adesso, prima che nel 1951 gli venisse impartito dal Sant’Uffizio di interromperne la pubblicazione, Mazzolari tiene una rubrica dal titolo «La parola ai poveri» (i cui testi sono stati recentemente raccolti in volume da Edb, a cura di padre Leonardo Sapienza). Era cosciente che parlare dei poveri era poco interessante, parlare ai poveri molto comodo, in nome di poveri molto ambìto, ma dare la parola ai poveri è un’altra cosa. «Don Primo l’ho conosciuto personalmente. Uomo leale, un cristiano vero, un prete che ha camminato con Dio, sincero e ardente, un pastore che ha conosciuto il soffrire e sempre ha veduto lontano», scriverà più tardi da patriarca di Venezia Luciani a chi gli faceva notare la consonanza con Mazzolari nel gesto compiuto allora dal patriarca di alienare alcuni beni della Chiesa di San Marco in favore di una comunità di disabili. Negli scritti lo chiama ancora «figlio obbediente della Chiesa» e ne riporta un’affermazione: «Il massimo dell’amore non è soffrire per la Chiesa ma anche da parte della Chiesa». E seppure distanti tra loro per estrazione, non esitava a unire Mazzolari a Milani che insieme – affermava ancora Luciani – «meritano di riavere il posto che a loro spetta nella Chiesa e nel cuore di tutti coloro che li hanno amati, come lo merita l’abate Antonio Rosmini» alludendo esplicitamente alla persecuzione interna verso un uomo «di integra fede cristiana, un maestro di sapienza che vedeva con chiarezza nelle strutture ecclesiali i ritardi e le inadempienze evangeliche e pastorali della Chiesa».
È sempre questa la situazione «dei perseguitati non solo da fuori ma anche da dentro per la loro fedeltà alla Parola di Dio», come ha affermato più volte lo stesso Francesco. «La storia si ripete sempre» ha detto nel suo videomessaggio il Papa in memoria del priore di Barbiana nel corso della recente presentazione dell’edizione mondadoriana di Tutte le opere di don Milani. Francesco ha qui sottolineato il coraggio di don Milani «come credente» e sacerdote che ha fatto «indigestione di Cristo», «innamorato della Chiesa anche se ferito», che ha «combattuto per la dignità e un’educazione integrale dei suoi ragazzi» emarginati dal potere. Allo stesso modo, accompagnando nei mesi scorsi la pubblicazione la citata raccolta di articoli di don Primo Mazzolari, il Papa ha scritto che «ci farà bene leggere e meditare queste pagine molto attuali... Lui ci ricorda che i poveri sono la vera ricchezza della Chiesa, i poveri sono l’unica salvezza del mondo!». Così il parroco di Bozzolo e il priore di Barbiana hanno fatto dell’esilio un trono, la redenzione immanente e la loro voce e il loro silenzio sono rimasti intatti.
Per questo la visita 'riservata' voluta da Francesco a Bozzolo e Barbiana per martedì 20 giugno non rientra nel protocollo di un omaggio formale né in un gesto di riabilitazione dei caduti, ma è un atto di resipiscenza profonda, perché è la Chiesa qui a ricapitolarsi. Una Chiesa che non indica le periferie come centro di un nuovo conformismo, ma quell’esilio vissuto, quell’esilio da se stessi come il luogo inalienabile che fa crescere e rende grande nell’amore e nella fedeltà la Chiesa. Perché quello di Mazzolari e di Milani è stato un amore di uomini liberi, dimentichi di loro stessi. Talmente da renderli disposti per amore di Cristo e come Cristo anche a soffrire le offese e le ingiurie di quegli stessi apparati del conformismo clericale che non hanno sopportato il dono della libertà dei figli Dio, il dono con cui il Mistero stesso ha reso preziosamente uniche le loro vite, a beneficio di tutti. «Tutte le sottomissioni da schiavo del mondo non valgono un bello sguardo da uomo libero – scrive Charles Péguy – o piuttosto, dice Dio, tutte le sottomissioni da schiavo del mondo mi ripugnano e io darei tutto per un bello sguardo da uomo libero». È con questo sguardo che il Papa si ricapitolerà a Bozzolo e a Barbiana. Un atto intimo, quasi liturgico, davanti agli ultimi, perché è da questo servizio che dipende la nostra salvezza. Lì, dove due poveri preti, con la libertà dei figli di Dio, dai poveri hanno ricevuto la sola ricchezza, cioè Cristo stesso. E allora è lì che ci si s’inginocchia, con lo stesso grido appassionato di don Milani: « I care!. Con lo stesso grido di don Mazzolari: «Perché io sono il povero, chi ha fame sono io, chi è senza scarpe sono io! Questa è la realtà: così è il vedere reale. Io sono il povero; ogni uomo è il povero!». E tutta la Chiesa e non solo la Chiesa può dire I care... Sì, mi riguarda. Adesso.