sabato 12 ottobre 2024
Un Papa, un archeologo e i suoi allievi: viaggio alla riscoperta delle tombe dei pontefici martiri nel primo cimitero della Chiesa di Roma
Roma, Catacombe di San Callisto, La cripta dei Papi

Roma, Catacombe di San Callisto, La cripta dei Papi

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Un giorno d’aprile del 1870 due ragazzi appena diciottenni, Mariano Armellini e Orazio Marucchi, stavano camminando lungo la via Nomentana quando incontrarono il papa Pio IX di ritorno in città con un piccolo seguito. Il Papa, vedendo quei due ragazzi con libri e carte, si fermò e domandò loro da dove venissero. Sorpresi e imbarazzati i due risposero che erano studenti e venivano dalle catacombe di Sant’Agnese dove erano stati mandati dal loro professore Giovanni Battista De Rossi. Pio IX li benedì e disse: «Cari figlioli, studiatele con amore sotto la guida del vostro bravo maestro, e pregate presso i santi martiri nelle catacombe come solevano fare gli antichi cristiani, perché del loro sangue noi siamo la stirpe». Papa Pio IX e Giovanni Battista De Rossi, fondatore della moderna archeologia cristiana, sono stati i grandi artefici della riscoperta delle catacombe di Roma. È grazie a loro se oggi è possibile conoscere e visitare questi luoghi cari alla memoria cristiana. L’archeologo De Rossi ebbe soprattutto il merito di riportare alla luce la più celebre tra tutte le catacombe: quella di San Callisto, il primo cimitero sotterraneo ufficiale della Chiesa di Roma. Nel 1849, nell’area di San Callisto che si estende tra la via Appia e la via Ardeatina, l’archeologo scoprì frammenti di una lapide che recava la scritta «NELIUS MARTYR». Intuì la prima parte mancante del nome e, completando la scritta in CORNELIUS, comprese che si trattava dell’iscrizione sepolcrale del papa martire Cornelio (251-253), morto a Civitavecchia. Il De Rossi sapeva di aver scoperto la lastra di marmo del suo sepolcro nel terreno soprastante a un cimitero fino ad allora inesplorato, ma che antichi rilievi topografici e sicure fonti localizzavano proprio in quella zona. L’archeologo si recò allora dal papa Pio IX, gli raccontò delle sue scoperte e delle sue speranze e lo pregò di comprare quel terreno.

Gli scavi gli diedero ragione. Nel giro di pochi anni riportò alla luce ben sei cripte: la cripta del papa martire Cornelio, quella di Calocero e Partenio, la cripta del santo papa Gaio (283-296), quella del papa martire Eusebio (309) e le due più note e venerate memorie di tutte le catacombe romane: il Sepolcreto dei Papi del III secolo e la Cripta di Santa Cecilia. Già all’inizio del II secolo quest’area era adibita alla sepoltura. I proprietari l’avevano messa a disposizione dei fratelli nella fede. All’inizio del III secolo il complesso cimiteriale venne donato al Vescovo di Roma, papa Zefirino (217), che ne affidò la gestione al suo primo diacono, Callisto. Nacque così il primo cimitero alle dirette dipendenze della Chiesa di Roma e il suo nome rimarrà legato a colui che resterà custode del cimitero per vent’anni, prima di diventare Pontefice ed essere martirizzato durante una sommossa a Trastevere. Dal suo successore Urbano I (222-230) fino a papa Marco (336) ben sedici pontefici, molti dei quali martiri, trovarono sepoltura presso il cimitero di San Callisto della Chiesa di Roma. In un’epigrafe, questo luogo sacro, è paragonato alla Gerusalemme celeste: «Gerusalemme, città e ornamento dei martiri di Dio». Siamo nel breve tratto di galleria che apre al «glorioso sepolcreto più insigne di tutte le necropoli cristiane», come definì il De Rossi la Cripta dei Papi. Qui le lastre sepolcrali dei Successori di Pietro: Ponziano, Antero, Fabiano, Lucio, Sisto II, Eutichiano e ancora i nomi di alcuni sacerdoti e dei sei diaconi martirizzati insieme a papa Sisto nel 258 durante la celebrazione della messa in queste catacombe, dopo che l’imperatore Valeriano aveva confiscato i beni della Chiesa.

Quando nel IV secolo, con la fine delle persecuzioni, la venerazione dei martiri si diffuse sempre più, il santo papa Damaso, grande cultore di martiri, trasformò questa Cripta in una chiesa. Davanti alla tomba di Sisto II è posto un carme in esametri latini, forse la più famosa tra tutte le composizioni di papa Damaso: «Sappi che qui riposa riunita insieme una schiera di santi/ i sepolcri venerandi ne conservano i corpi/mentre il Regno dei Cieli accoglie le anime elette./ Qui sono i compagni di Sisto che trionfarono sul persecutore/ qui la schiera dei Papi che custodiscono l’altare di Cristo/ qui giovani e ragazzi e vecchi con il loro casti discendenti./Qui anch’io Damaso, lo confesso, avrei voluto essere sepolto/ ma ebbi timore di disturbare le ceneri dei santi». Damaso fece ornare e abbellire anche la cripta di Santa Cecilia, posta accanto a quella dei Papi.

Dal IV all’VIII secolo questo santuario era secondo per notorietà e frequentazione solo alla Necropoli Vaticana. Gli antichi pellegrini scendevano per una lunga scala e proseguivano verso la Cripta dei Papi e quella di santa Cecilia per pregare sulle loro tombe e dei tanti martiri qui venerati. Al lume delle torce dovevano splendere ancora intatte le pitture che ornavano le tombe. Pitture che insieme ai simboli erano un richiamo visibile alla storia della salvezza operata da Gesù Cristo. Si trova qui la più antica rappresentazione del Battesimo. Qui anche una delle più antiche immagini di Maria. È nella regione detta di “Santa Sotere”, regione che prende nome dalla martire parente del santo vescovo di Milano Ambrogio, raffigurata in un arcosolio nella scena che descrive l’adorazione dei Magi e la Madonna in trono che tiene in braccio Gesù Bambino. Di fronte all’arcosolio della Madonna un passaggio immette a quattro cubicoli collegati tra loro. È qui, nella seconda metà dell’Ottocento, all’epoca degli scavi, che avevano preso l’abitudine di riunirsi a pregare insieme, come facevano i primi cristiani, il gruppo di giovani allievi di Giovanni Battista De Rossi. Avevano scelto come luogo di preghiera questi quattro cubicoli che, per la loro conformazione architettonica, si prestavano al canto alternato dei salmi, comunicando per mezzo di un lucernario che permetteva il diffondersi delle voci da una camera a all’altra. Nei primi giorni del 1878 vollero celebrare l’imminente festa dell’Epifania all’arcosolio della Madonna. Fu in quella occasione che maturano l’idea di istituire un’associazione che avesse per scopo il culto dei martiri nelle catacombe. Nacque così nel 1879, con piena approvazione di Pio IX, il Collegium cultorum martyrum che ebbe tra i fondatori proprio l’Armellini e il Marucchi.

Pio IX stesso era già sceso, in precedenza, nel sepolcreto. Prima della visita, mentre faceva colazione alla villa dei Cavalieri di Malta sull’Aventino, disse in tono scherzoso ai circostanti in maniera che il De Rossi potesse sentirlo: «Gli archeologici sono sognatori e fantasticano tante cose che il comune de’ mortali neanche arriva a capire». Ma durante la visita alle gallerie sotterranee di San Callisto il Papa rimase profondamente commosso. Lo annota lo stesso De Rossi nelle sue memorie: «Arrivò con poche persone al seguito nel pomeriggio e scendemmo nei sotterranei. Gli spiegai le scoperte riguardo le iscrizioni sepolcrali di alcuni santi Successori di Pietro. Entrammo quindi nella Cripta dei Papi e gli indicai le lapidi rinvenute. Pio IX rivolgendosi a me disse: “Sono dunque veramente queste le lapidi dei primi Successori di Pietro, sono questi i sepolcri dei miei predecessori che qui riposano?”. “Santità – risposi – qui sono scritti i nomi dei papi martiri che Damaso, l’infaticabile culture dei martiri, nomina nel carme che vi ho spiegato”. Allora Pio IX si avvicinò, prese nelle mani le lastre di marmo e lesse i nomi. Nel vedere scritti quei nomi divenne tutto rosso per l’emozione e i suoi occhi si bagnarono di lacrime. Poi si inginocchiò a terra e rimase assorto in preghiera». Per la prima volta, dopo quasi mille anni, un successore di Pietro rimetteva piede in questi luoghi resi santi dal sangue di tanti testimoni. D opo Pio IX, il primo Vescovo di Roma a ridiscendere nelle catacombe di San Callisto è stato Giovanni XXIII, il 19 settembre 1961, un gesto che volle essere d’esempio per i fedeli di Roma. E dopo di lui Paolo VI, che vi discese il 12 settembre 1965, alla vigilia della sessione terminale del Concilio Vaticano II. «Qui il cristianesimo – disse nell’omelia – affondò le sue radici nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza d’ingiuste e sanguinose persecuzioni, qui la Chiesa fu spoglia d’ogni umano potere, fu povera, fu oppressa, fu umile, fu pia. Qui il primato dello Spirito di cui parla il Vangelo... Ecco perché, fratelli e figli carissimi, alla vigilia della ripresa terminale del Concilio ecumenico siamo venuti alle catacombe. Siamo venuti a bere alle sorgenti, siamo venuti per onorare i martiri in queste umili tombe gloriose ed averne confronto. Siamo venuti per ritornare giovani e autentici nella professione d’una fede che gli anni non consumano». (8. Continua)

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