
Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Sundar Pichai e Elon Musk il giorno dell'Inauguration Day di Trump a Washington - Ansa
Il disegno neo-coloniale degli Stati Uniti di Trump resta la prima preoccupazione della comunità accademica e del mondo finanziario italiano ed europeo. Evocato subito dopo l’elezione del tycoon dall’economista Stefano Zamagni proprio su Avvenire, il tema è al centro di tutte le analisi fatte nelle università, nei think tank e nel sistema delle imprese e delle banche. Bastava essere un paio di sere fa alla presentazione milanese del libro di Franco Bernabè, “In trappola”, scritto con Paolo Pagliaro per Solferino, per averne una conferma. «La mia generazione ha vissuto ottant’anni unici. Ottant’anni di pace» ha detto a un certo punto Bernabè, uno dei più grandi manager italiani, che ha attraversato diverse stagioni del potere nel nostro Paese guidando colossi come Eni e Telecom, ha fatto l’imprenditore e recentemente è stato consigliere d’amministrazione indipendente di PetroChina. «A 250 anni di distanza dalla loro nascita, il rischio oggi è che gli Usa diventino un Paese autoritario, rinnegando le intuizioni dei padri fondatori. Siamo di fronte a una svolta storica radicale» ha spiegato Bernabè, disegnando una parabola di (ir)responsabilità americana avviata a suo parere da Bill Clinton e culminata nell’attuale presidenza. È come se, in questa analisi, l’avvento delle autocrazie e dell’uomo forte non fosse stato altro che il frutto avvelenato, l’ultimo e il più pericoloso, di un’epoca contrassegnata da troppi errori strategici: la liberalizzazione dei mercati finanziari con l’era Greenspan, la deregolamentazione del mercato tecnologico, il via libera all’ingresso di Pechino nell’Organizzazione mondiale del commercio. Il risultato è stata la concentrazione di una ricchezza senza precedenti nelle mani di pochi e la fine del ceto medio. E ora? Anche su questo, Bernabé la pensa come Zamagni: la scelta delle élite che dominano la Silicon Valley è caduta, prima ancora che su Trump, su J.D. Vance, il vicepresidente e ideologo del “Maga” (lo slogan “Make America Great again”). A indicarlo, è stato la mente di questo progetto neocoloniale, che parte dalle tecnologie e arriva ai popoli, pretendendo di tracciare scenari geopolitici dove domina il più forte: la persona in questione è Peter Thiel, fondatore di PayPal, un patrimonio di 200 miliardi di dollari. «Lo conosco bene – dice di lui Bernabé -. «È un filosofo, arriva da Stanford, è stato cacciato da Trump nella sua prima esperienza alla Casa Bianca. Oggi Thiel ha rimesso le cose a posto, imponendo la nomina di Vance per realizzare il disegno voluto da questa oligarchia». È un'oligarchia, questa, che si è vista concretamente nel suo peso politico, all'Inauguration Day, schierata alle spalle del tycoon, con i volti tra gli altri di Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Sundar Pichi e ovviamente Elon Musk: poteri fortissimi, in America e nel mondo, in grado tranquillamente di influenzare e pesare sulle scelte della Casa Bianca.
Il resto, ovviamente, rimane sullo sfondo: un Trump definito dallo stesso Bernabè «pappa e ciccia con Putin, che disconosce l’Europa come parassitaria», ordini esecutivi a raffica, che sono «il segno di uno stravolgimento tipico delle società non democratiche, a partire dall’eliminazione di Usaid, da sempre strumento di soft power americano». E poi c’è la Cina cui il mondo guarda, quasi con invidia: la ricetta di Pechino, l’autoritarismo di mercato, garantisce una salda guida politica, la creazione di ricchezza e la sua redistribuzione verso le masse dei cittadini. «Ha 3 milioni di ingegneri l’anno e sopravanzerà il mondo» prevede Bernabé. Quanto al Vecchio continente, ha bisogno di difendere la sua posizione competitiva rispetto alle due superpotenze, semplificando la macchina burocratica e intervenendo sui costi dell’energia. Altrimenti corre il rischio di esser tagliato fuori dai giochi e di diventare la vittima predestinata dei nuovi padroni del mondo.