Dio aveva convocato tutti gli alberi chiedendo quale di loro acconsentisse a dare il suo legno per la croce di Aman. Il fico disse: “Sono pronto”; la vite disse: “Sono pronta”. La palma disse: “Io desidero servire, quindi sono simbolo d’Israele”. Infine il rovo disse: “Sono io l’albero adatto, perché gli empi sono come rovi spinosi” (…) La croce fu alta abbastanza per appenderci Aman e i suoi dieci figli.
Aggadat Esther 61,62,73
«Disse il re: “Sia impiccato su quel palo”. Allora Aman fu appeso al legno che aveva preparato per Mordecai» (Ester 7.9-10). Le sorti di Aman il malvagio e Mordecai il giusto sono ormai perfettamente ribaltate. Sulla volta della Cappella Sistina si trova rappresentata la crocifissione di Aman – nel pennacchio in corrispondenza dell’altare, a destra. Aman crocifisso, dunque non impiccato, un dettaglio che dopo Cristo dice molto, parla moltissimo. Forse la fonte di Michelangelo (o dei suoi consulenti) è il Canto XVII del Purgatorio, dove Dante incontra Aman: «Un crucifisso dispettoso e fero, ne la sua vista, e cotal si morìa; intorno ad esso era il grande Assuero, Estèr sua sposa e ‘l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far così intero» (Pg, XVII, 26-30). In realtà, una fonte ancora più remota di questa strana crocifissione è la versione latina della Bibbia di San Gerolamo (la Vulgata), dove la parola greca “legno” (îýëïí) su cui fu appeso Aman è tradotta per tre volte con la parola crux: «Iussit excelsam parari crucem» (Est 5,14). La tradizione della crocifissione di Aman è stata allora qualcosa di importante nel Medioevo, che si intrecciava anche con il rapporto, sempre difficile, tra le comunità cristiane e quelle ebraiche. Una tradizione ancora tutta da esplorare.
Il Libro di Ester è molte cose insieme, e tra queste “cose” c’è anche la fondazione della festa ebraica di Purim, una parola che significa “sorti”. Le sorti dei protagonisti, infatti, si ribaltano nel corso della storia, lo stiamo vedendo. Purim è una festa simile al nostro carnevale – maschere, feste, vino e banchetti… –, ma soprattutto Purim somiglia molto ai romani Saturnali. Durante i Saturnali romani, tra l’altro, veniva eletto tramite estrazione a sorte un princeps, un Saturno dell’anno, cui, per i soli giorni della festa, veniva assegnato ogni potere. Poi veniva in genere travestito con vesti multicolori, dove spiccava il rosso. Oggi sappiamo che all’origine dei Saturnali romani ci sono le Sacee babilonesi. Durante le Sacee, come ci racconta il sacerdote babilonese Beroso (Storia di Babilonia, I), i rapporti sociali si ribaltavano e gli schiavi comandavano sui loro padroni. Inoltre, come narra anche lo storico greco Dione Crisostomo, durante le Sacee «i persiani prendono uno dei prigionieri condannati a morte e lo fanno sedere sul trono reale, gli danno le vesti regali, e lo lasciano comandare, bere e fare baldoria e approfittare delle concubine del re durante quei giorni, e nessuno gli impedisce di fare ciò che preferisce. Poi però lo denudano, lo flagellano e lo crocifiggono» (Orationes, IV, vol. 1). Il discorso si fa sempre più interessante.
La festa ebraica deiPurimnasce con ogni probabilità in Babilonia – il suo primo riferimento è nel libro di Ester, un testo recente, post-esilico, e forse la stessa parola purim è di origine babilonese. Da qui la tesi del grande storico delle religioni scozzese James George Frazer che anche Purim, non solo i Saturnali, fosse una forma più o meno mascherata della festa babilonese delle Sacee (Frazer, I Saturnali e le feste affini). Fin qui non dovremmo essere particolarmente stupiti, perché sappiamo che il meticciato culturale nel mondo antico era la regola per le religioni, per i riti, per le feste. Frazer però non si ferma alla genesi di Purim (e dei Saturnali); si spinge molto oltre, con ipotesi sulla passione e morte di Gesù Cristo che sono forse sorprendenti, certamente appassionanti. Innanzitutto, un dato cronologico. Stando al libro di Ester, l’editto di sterminio di Aman viene emanato il 13 del mese di Nisan (Est 3,12), e tutti gli eventi decisivi del racconto si svolgono nell’arco di 3-4 giorni, quindi tra il 13 e il 15 o 16 di Nisan. Nel mondo ebraico il 15 di Nisan è il primo giorno di Pesah, della Pasqua. Da qui l’ipotesi (ardita) di Frazer: la passione e morte di Gesù va letta all’interno dei Saturnali romani e di Purim ebraico: «La celebrazione dei Saturnali può aver coinciso con Pesah; e quindi Cristo, in quanto criminale condannato, può essere stato consegnato ai soldati romani, che si divertivano trattandolo come il Saturno dell’anno». Quindi si chiede: «Non è possibile che possano aver obbligato un criminale condannato ad assumere il tragico ruolo, e che quindi Cristo sia morto così mentre impersonava Aman? … E se la veste viola o scarlatta, lo scettro di canna e la corona di spine, che i soldati imposero a Cristo, fossero i segni distintivi dell’Aman dell’anno?» (Frazer, La crocifissione di Cristo).
Come sintetizza lo storico Andrea Damascelli nel suo bel saggio sulla teoria di Frazer: possiamo arrivare a dire che «la Passione di Cristo fu un Purim?» (Passione e Purim). Secondo Frazer è probabile. Infatti, «la storia originaria di Ester e Mordecai era un dramma simile alla passione di Cristo. Essa era recitata a Babilonia, e da Babilonia i prigionieri reduci la portarono in Giudea, dove veniva messa in scena come dramma. Una catena di cause che non possiamo seguire fece sì che in questa rappresentazione annuale la parte del morente venisse imposta a Gesù di Nazareth». Da qui la domanda decisiva: è possibile che in quell’anno – probabilmente il 30 d.C. – la morte di Gesù sia stata inserita dentro la festa di Purim che, forse, coincideva con i Saturnali dei soldati romani, dove Gesù finì per interpretare la parte di Aman, il crocifisso?
Frazer e Damascelli spingono poi questa affascinante ipotesi ancora più lontano, fino a includere una nuova e interessante interpretazione della storia personale di san Paolo (avanzata già da R. Eisenman) basata su un manoscritto rinvenuto a Qumran, da cui emergerebbe una diversa lettura della citazione contenuta nella lettera ai Galati “maledetto l’appeso al legno” (3,13) collegata con Ester, e vi intravvedono anche una nuova interpretazione di Giuda. Riguardo Barabba, Frazer scrive: «Se Gesù fu l'Aman dell’anno, dov'era il Mordecai? Forse possiamo trovarlo nella persona di Barabba», il cui nome, lo sappiamo, significa in aramaico “figlio del padre”. Infatti, «Pilato avrebbe cercato di persuadere gli ebrei a fare impersonare a Cristo la parte di Barabba. Il tentativo di Pilato però falli, e Gesù mori sulla croce mentre impersonava Aman». Inoltre, «la descrizione dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme ricorda infatti la processione per le strade di Susa vagheggiata da Aman e compiuta invece da Mordecai» (Frazer, La Crocifissione di Cristo).
È poi molto interessante incrociare queste ipotesi con la lettura rabbinica del libro di Ester. Il Talmud, testo post-cristiano, in linea con il libro di Ester, dice che Aman fu crocifisso nel secondo giorno di Pesah, che nei vangeli era anche il giorno della crocifissione di Cristo (Wild, La crocifissione di Aman). Molto importante, infine, notare l’uso del Salmo 22 in ambito cristiano ed ebreo. Nel Vangelo di Marco questo salmo – “Eli, Eli … Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” – è il testo più usato per descrivere la passione e morte di Cristo. Nel Talmud è Ester a gridare quel salmo: giunta dal re per fargli la sua richiesta, Ester emise «un grido di sconforto: “Eli, Eli lama ‘azabtani!”» (Megillah 15a). Storie stupende, purtroppo a noi quasi sconosciute. Compiuta la morte-crocifissione di Aman, «nello stesso giorno, il re Assuero donò a Ester la proprietà di Aman, il calunniatore, e Mordecai fu chiamato dal re, perché Ester aveva rivelato che egli era legato da parentela con lei. Allora il re prese l'anello che aveva fatto ritirare ad Aman e lo diede a Mordecai, ed Ester stabilì Mordecai su tutte le proprietà di Aman» (8,1-2). Il ribaltamento investe anche le proprietà economiche di Aman e l’uso dell’anello del re come sigillo, segni che ormai Mordecai aveva occupato il posto di Aman. Ester però non è ancora soddisfatta. Sa che l’editto di sterminio degli ebrei era stato diramato in tutto l’impero, e se non agisce subito quel decreto sarà presto operativo ed efficace. E allora, di nuovo, la donna si muove in fretta: «Ester disse al re: “Se piace a te e ho trovato grazia, si ordini di revocare le lettere inviate da Aman, quelle che erano state scritte per sterminare i Giudei”» (8,5).
Un episodio anche questo carico di significati importanti. Non basta far festa nel giorno del grande successo. Affinché un’azione collettiva importante e grave si concluda nel modo migliore e auspicato è necessario chiudere tutti i dettagli del processo, perché è sufficiente che una sola porta rimanga aperta perché tutto si disperda da quel pertugio. Ester sa che il compimento della sua opera non stava nella morte di Aman, ma nell’annullamento del decreto. E quindi non indugia nella festa, non consuma il suo grande successo e si mette a lavoro.
Nei processi complessi prima è essenziale comprendere dove si trovi il loro compimento e poi, senza indugio, continuare la corsa, anche quando le energie emotive sembrano esaurite nella prima parte del lavoro. Molte azioni non giungono a buon fine o perché il grande successo della prima fase distrae e non ci fa passare alla seconda, o perché tutte le energie si esauriscono nella celebrazione della grande vittoria e non resta più nessuna forza per chiudere l’ultima porta. Ester è modello etico anche in questo. E così, «il ventitré del primo mese, quello di Nisan, dello stesso anno, furono convocati i segretari e fu scritto ai Giudei tutto quello che era stato comandato ai governatori e ai capi dei satrapi, dall'India fino all'Etiopia, centoventisette satrapie, provincia per provincia, secondo le loro lingue» (8,9-10).
Il parallelismo tra la crocifissione di Aman e quella di Cristo è solo una ipotesi, ma è stata presente e operante per secoli in ambito sia cristiano sia ebreo, e, purtroppo, qualche volta è stata usata dai cristiani come pretesto antisemita. E quando Michelangelo immortalò Aman col suo gesto eternizzò quel parallelismo e con la forza infinita della sua arte riscattò Aman dal suo inferno – Dante incontra Aman nel Purgatorio, non nell’Inferno dove noi, piccoli, ce lo aspettavamo. Anche queste sono pagine non scritte dall’antico autore biblico ma vergate dall’anima profetica della grande arte che è soprattutto un luogo di redenzione delle vittime. Perché, dopo il Golgota, ogni volta che una persona finisce su una croce ritorna un’eco incarnata della morte di Cristo. E un’anima del popolo cristiano intuì che anche il supplizio di un maledetto della Bibbia aveva preannunciato qualcosa della croce di Gesù, che muore tra due compagni maledetti. La redenzione del mondo sarà compiuta il giorno in cui l’ultimo crocifisso vedrà la resurrezione.
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