mercoledì 13 dicembre 2017
Dopo i casi di bambini contesi, quello della 'coppia dell'acido' e quello dei 'genitori-nonni', si scorgono un arretramento nella cultura giuridica e una pericolosa apertura alla logica adultocentrica
I figli e il legame di sangue un passo indietro pericoloso
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Il diritto del legame di sangue evocato qualche giorno fa dal procuratore della Cassazione a proposito di due casi molto discussi di bambini contesi – quello della 'coppia dell’acido' e quello dei cosiddetti 'genitori-nonni' – non è solo un arretramento nella cultura giuridica ma anche una pericolosa apertura alla logica adultocentrica. Quella secondo cui il bambino è un 'desiderio' a disposizione dei grandi che si può ottenere a qualsiasi prezzo. Anche ignorando il fatto, per esempio, che un minore viva già stabilmente da quasi sette anni con la stessa famiglia e che l’adozione sia stata disposta con sentenza definitiva e legittimante (caso dei 'genitori-nonni' di Casale Monferrato). Oppure (passando al caso milanese della 'coppia dell’acido) che due sentenze di primo e secondo grado, e due consulenze tecniche d’ufficio (Ctu) conformi a quelle, abbiano considerato i genitori e i nonni di un minore del tutto inadeguati a svolgere funzioni di riferimento educativo.

Il fatto che, nonostante queste evidenze giuridiche e culturali, il procuratore della Cassazione, Francesca Cerone, abbia chiesto l’azzeramento di entrambe le decisioni spiegando che non si può mai spezzare il collegamento con la famiglia biologica, rischia di recuperare un concetto arcano e pericoloso, desunto dal peggior familismo, che rovescia il principio del 'superiore interesse del minore' recepito dalla nostra legislazione da almeno mezzo secolo. Era il 1967 quando la prima legge italiana sull’adozione superava il concetto medievale dell’affiliazione, secondo cui il bambino non diventava in alcun modo 'figlio dell’affiliante' e, soprattutto, il rapporto poteva essere interrotto in qualsiasi momento, in base alla volontà, e spesso all’arbitrio dell’adulto (non era indispensabile che ad 'affiliare' fosse una coppia). Poi nel 1983, la legge 184 – quella attualmente in vigore – poi solo parzialmente riformata nel 2001, proclamava finalmente il diritto del minore ad avere una famiglia. Una svolta importante, confermata dal diritto internazionale, su cui è vietato aprire spiragli concettuali. Perché quando nella giurisprudenza specifica il minore, bambino o ragazzo che sia, invece di risultare sempre e comunque centrale come soggetto debole, può essere messo da parte, oscurato, idealmente marginalizzato per far prevalere altri interessi – dal legame di sangue alla pretesa del figlio ad ogni costo – si spalanca un percorso ad alto rischio in cui i desideri vengono scambiati per diritti e in cui tutto quello che è tecnicamente possibile diventa anche eticamente lecito.

Entrando nei dettagli delle due vicende, emergono poi altri aspetti su cui la valutazione del procuratore della Cassazione sembra quasi avere l’effetto di un colpo di spugna a proposito di consuetudini giuridiche che sono allo stesso tempo conquiste di civiltà. Nel caso dei 'genitori-nonni' è stato possibile ridiscutere un’adozione già definitiva perché si è conclusa nel frattempo la vicenda penale legata alle accuse di 'abbandono di minore'. Il padre, che oggi ha 76 anni (la madre 64), aveva subito un procedimento giudiziario perché, secondo quanto riferito dai vicini, avrebbe lasciato in auto. a lungo e da sola, la bambina di pochi mesi, nata con la fecondazione eterologa. Con la denuncia sono partite anche le verifiche dei servizi sociali attivate dal Tribunale per i minorenni che, dopo lunghissime e approfondite sedute, hanno valutato l’inadeguatezza genitoriale della coppia. L’età avanzata è stata solo uno degli elementi entrati nel giudizio degli specialisti. E non quello determinante. A confermare l’accusa di 'abbandono' sono stati invece tutta una serie di elementi legati all’esistenza di un vuoto educativo tale da far considerare i due del tutto inadeguati per accompagnare la crescita della piccola. Quindi, anche se l’accusa penale è caduta, rimangono le considerazioni negative espresse dal Tribunale dei minorenni a proposito delle qualità genitoriali della coppia. Non a caso, prima di arrivare alla fecondazione assistita – all’epoca illegale in Italia – i due avevano tentato senza successo la strada dell’adozione ma, anche in quell’occasione, il Tribunale non aveva loro concesso l’idoneità (succede solo nel 10 per cento dei casi) respingendo la richiesta. Anche in quell’occasione gli elementi entrati nella valutazione dei magistrati avevano prodotto un giudizio negativo sulle loro aspirazioni a diventare genitori.

Ora invece, ammettendo la possibilità di ridiscutere un’adozione definitiva sulla base di un giudizio penale, il pg della Cassazione considera il proscioglimento del padre come fatto nuovo intervenuto, ignorando tutte le oggettive valutazioni sulle carenze educative. Una posizione ideologica che finge inoltre di dimenticare la stabilità affettiva conquistata ormai da quasi sette anni dalla piccola, proprio grazie alla nuova famiglia. Se al centro dei giudizio ci fosse effettivamente il 'miglior interesse del bambino' sarebbe difficile immaginare una collocazione più favorevole per una crescita equilibrata. Una posizione, frutto di decenni di elaborazione culturale, coerenti nell’affermare la centralità del bambino come portatore di diritti, che ora rischia di essere ridiscussa da una richiesta tutta focalizzata sulle rivendicazioni della famiglia biologica.

La retrocessione dell’interesse del minore rispetto alla volontà degli adulti è anche lo schema seguito nella richiesta di riassegnare ai nonni il figlio della cosiddetta 'coppia dell’acido' (condanna definitiva a 20 anni per lei, duplice condanna a 24 e a 14 anni per lui). Il piccolo, che oggi ha due anni e 4 mesi, vive serenamente in una famiglia che ha ottenuto un affido 'a scopo adottivo' e che quindi, se non interverranno fattori nuovi, potrà avere a tutti gli effetti un padre e una madre a tempo pieno. La richiesta del pg della Cassazione sconvolge questo percorso coerente, rimette in gioco le possibilità di affido avanzate dai nonni materni già considerati inadeguati dal punto di vista educativo dopo 46 incontri con un pool di esperti (neuropsichiatra infantile, psicologa, assistente sociale). Anche in questo caso va rimosso il pregiudizio secondo cui ad orientare la consulenza siano stati i crimini orrendi commessi dalla figlia. Non è stata valutata la 'colpa educativa pregressa' – quella nessuno potrà mai giudicarla in modo obiettivo – ma la possibilità di costituire un punto di riferimento affidabile per il futuro del bambino.

Questi nonni mettevano davvero al centro le esigenze di crescita del piccolo? Sarebbero riusciti ad essere pienamente disponibili per un progetto a lungo termine? Non rischiavano di mettere al primo posto altre istanze, come la volontà di preservare alla figlia un’ipotesi di maternità che le sarà però impossibile concretizzare per i prossimi vent’anni, da trascorrere in carcere? Il giudizio negativo del Tribunale dei minori sulle 'capacità genitoriali' di questi nonni non va quindi letto come una 'punizione' ma come una valutazione, certo sofferta e complicata, concepita per il 'miglior interesse del bambino'. Ecco perché la presa di posizione del procuratore della Cassazione sembra trascendere la realtà dei casi concreti per stabilire una norma ideale, quella della piena disponibilità del minore per i genitori biologici e per la famiglia allargata – con tutte le conseguenze facilmente ipotizzabili – anche quando quelle famiglie appaiono segnate da insuperabili e accertate inadeguatezze. Tali comunque da rappresentare per il bambino un rischio oggettivo nel percorso di crescita. E questo è un inaccettabile salto nel buio.


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