Dobbiamo farcela. E possiamo. Noi credenti, non è una novità, viviamo sempre sull’abisso della separazione delle acque: le acque della rigenerazione, che vengono da Dio, e le acque della degenerazione, che la nostra debolezza lascia immancabilmente filtrare e accumulare. Dobbiamo ritrovare il coraggio di camminare sulle acque di Dio, e uscire dallo stagno. Con grande lezione di stile, Benedetto XVI, illustra la serietà di questa dialettica, che si riforma sempre, a riguardo del papato stesso. Ricorda il celebre episodio di Gesù, che loda Pietro per la sua ferma confessione di fede, la quale non viene «dalla carne e dal sangue», e poi lo sgrida per aver ceduto alla debolezza «della carne e del sangue», nel momento in cui vuole allontanare la croce (Mt 16, 22-23). In questa scena, osserva Papa Benedetto, «vediamo in qualche modo anticipato il dramma della storia dello stesso papato, caratterizzato proprio dalla compresenza di questi due elementi: da una parte, grazie alla luce e alla forza che vengono dall’alto, il papato costituisce il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo; dall’altra, lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare».La promessa, nondimeno, stabilisce la linea di confine per la minaccia, e indica la linea della coerenza richiesta. «Le porte degli inferi», cioè le forze del male, «
non praevalebunt». C’è qualcuno che ancora non si sia convinto del fatto che la più grande debolezza della Chiesa, nei suoi frangenti più difficili, è sempre venuta dallo spirito mal dissimulato di una profonda discordia: quando tutti dicono «Signore, Signore», ma poi ciascuno edifica sul proprio fondamento, che non è il Signore? Nella riflessione pronunciata per la consegna del Pallio agli Arcivescovi Metropoliti, Benedetto XVI ha sviluppato un insolito ed elegante spunto di riflessione sul tema della «fraternità fondatrice». Pietro e Paolo, che «insieme, rappresentano tutto il Vangelo di Cristo», sono inseparabili nella tradizione cristiana.
Forse, fu anche la risposta cristiana al vanto di Roma, che ricordava con orgoglio Romolo e Remo, la coppia di fratelli della sua mitica fondazione.
Forse, ne viene ispirazione anche per la ricerca di quel più profondo legame nella fede dell’Oriente e dell’Occidente cristiano, «cui anelano – ha concluso il Papa – il Patriarca Ecumenico e il Vescovo di Roma». Nella semplice solennità, e persino nell’audacia, di questi accostamenti, vibrano i toni alti di un ritorno della Chiesa al legame di tutti i legami, che Pietro intende restituire integralmente alla sua forza, per l’ora presente. Questo legame è quello della fraternità. Nella congiuntura attuale, dove tutti gli altri espedienti mostrano la loro irrimediabile friabilità, la fraternità cristiana è la cosa più rocciosa che abbiamo a disposizione. Deve sospendere radicalmente la sua inclinazione nei confronti delle sue versioni sentimentali, burocratiche, corporative. Deve ridiventare fraternità fondatrice. Non abbiamo legame più forte di questo, per venire a capo del primato dell’edificazione di sé, che intorbida le pure acque della sorgente di ogni potere nella Chiesa e per la Chiesa.
Non abbiamo custodia più solida, per la fraternità fondatrice del cristianesimo, del ministero di Pietro che continua. Sta scritto, del resto: «E tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32). Va fatto. Le scuse per sottrarsi alla fraternità donata dal Signore, qualunque cosa sia accaduto e qualsiasi incombenza sia affidata, stanno a zero. I capi e i fedeli del cristianesimo di Occidente e di Oriente, incoraggiati da colui che «presiede la carità della Chiesa», diano l’esempio per primi. Essi stanno sulla faglia del mondo nella quale si decide, ora, anche il nuovo assetto dell’umanesimo a venire. Le pratiche dell’avvilimento della comunione, all’interno delle singole comunità, vanno espiate con serietà e purificate con gioia. La fraternità fondatrice di un nuovo inizio cristiano, passa proprio di qui. Fra Pietro e Paolo.