martedì 11 agosto 2020
Iniziamo un breve viaggio alla ricerca delle ragioni di una scelta controcorrente. L’avventura umana e spirituale di Enrico, dall'allontanamento adolescenziale alla scelta del saio
Un incontro di frati Cappuccini

Un incontro di frati Cappuccini - Siciliani

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Il cuore dell’uomo cerca continuamente la fonte dell’amore autentico, quella radice d’Infinito che doni pace alla sete dell’anima. Forse in questa ricerca continua sta la ragione della scelta di tanti giovani – e meno giovani – di consacrarsi a Dio. Anche se in realtà ascoltando le loro storie ci si rende conto che spesso la vocazione è come una folata improvvisa che scombina le carte e sospinge verso lidi che non erano previsti nella propria personale mappa di navigazione.

Lo rende evidente la storia di fra Enrico (in realtà il nome è di fantasia, perché lui umilmente preferisce che a parlare siano i fatti), il cui cammino è segnato da alcune svolte inaspettate, che l’hanno portato a scegliere di seguire il carisma francescano nei frati Minori Cappuccini. «Sono cresciuto in una famiglia cattolica praticante – racconta il giovane emiliano, 25 anni – ma sono anche uno dei tanti ragazzi che dopo la Cresima “prendono il largo”. Anch’io, infatti, mi ero allontanato dalla Chiesa e dalla vita in parrocchia, vivendo gli anni delle scuole superiori con la ferma convinzione di non credere in nulla e di poter andare avanti poggiando tutto su me stesso. Ho frequentato un Istituto tecnico industriale e non avevo molta intenzione di proseguire gli studi, perché sentivo che la scuola non faceva per me». L’obiettivo, insomma, era quello di andare a lavorare il prima possibile: «Tutto sommato ho un ricordo positivo di quegli anni – prosegue Enrico –, che sono stati di sicuro travagliati ma anche spensierati, per certi versi. La mia era una vita che definirei normale, con tanti amici, qualche ragazza con cui ho avuto alcune storie». Poi la svolta. Anzi le svolte.


Una vita in cui non sembra esserci più posto per la fede, due lunghi fidanzamenti, la riscoperta del Decalogo: passa di qui l’imprevedibile via che porta in convento

Verso la fine delle superiori, ricorda il giovane, «mi sentivo molto giù, sia perché mi chiedevo cosa avrei fatto dopo la scuola sia perché mi ero lasciato con una ragazza con la quale la relazione era durata diversi anni. Era un rapporto sul quale avevo puntato molto e quindi la fine mi aveva lasciato amareggiato ». Una sera un amico propone a Enrico di andare a un incontro di catechesi tenuto dai frati cappuccini: «Dissi di sì, senza pensarci troppo in realtà, fondamentalmente perché non mi piaceva restare a casa da solo e avrei detto di sì a qualunque cosa. Il percorso di catechesi offerto dai frati riguardava i 10 Comandamenti, ma all’inizio io li frequentavo con lo spirito di chi cerca solo un impegno per distrarsi. D’altra parte non avevo mai visto un frate e non mi era mai passata per la testa l’idea di farmi religioso, avevo tutt’altra idea per la mia vita». Così passa l’estate ed Enrico è ancora ignaro di quello che gli si sta preparando, ma una prima novità c’è: a settembre, infatti, si iscrive a ingegneria meccanica e inizia l’università. «Proprio in quei mesi – racconta ancora – conobbi un’altra ragazza, una persona che viveva molto seriamente e profondamente la propria fede. Mi ricordo che con lei le prime litigate vertevano proprio sui temi della vita cristiana: per me Dio era qualcosa di astratto mentre per lei aveva un volto e un nome, Gesù Cristo. La cosa bella di tutto questo è che lei mi ha di fatto accompagnato nella mia conversione, perché anche grazie a lei sono tornato alla fede. Quando l’ho conosciuta avevo questa idea molto vaga di Dio, e alla fine del rapporto dopo quasi due anni io sono entrato in convento».

Dentro Enrico, insomma, il cambiamento è stato profondo ed è avvenuto anche grazie a quelle catechesi sui Comandamenti. La decisione di entrare in convento, infatti, è stata una vera “conversione nella conversione”: «Continuavo a seguire gli incontri sui Comandamenti: all’inizio mi sembravano cose interessanti ma lontane dalla realtà quotidiana, poi piano piano ho cominciato a capire che quella Parola di Dio di cui mi parlavano i frati riguarda concretamente ciò che sperimentavo ogni giorno. All’inizio pensavo ai Comandamenti come una serie di “no”, una semplice lista di co- se che non puoi fare, poi la mia prospettiva è cambiata e, a cominciare dal quarto Comandamento, ho capito sempre di più che quelle 10 Parole “erano per me”. Il primo passo ha riguardato proprio i miei genitori: con loro avevo avuto un rapporto sempre buono, ma forse non così profondo come avrebbe potuto essere». Una consapevolezza che piano piano ha cambiato il modo di vivere di Enrico.


Una storia come tante, tra la fuga dopo la Cresima, l’egocentrismo e la certezza che la Chiesa abbia poco da dire all'esistenza Ma sono proprio i legami affettivi ad aprire una breccia.
E a far cercare qualcosa di più grande. Nel percorso di riscoperta dei Comandamenti, intrapreso quasi per caso, la chiave per capire che la proposta cristiana è «per me»

«Ovviamente – nota il religioso – il cammino si è snodato attraverso tanti piccoli passi, ognuno dei quali mi faceva capire sempre di più che Dio aveva a cuore la mia esistenza ed era “innamorato” di me. Piano piano si è fatta strada l’idea della vita religiosa: una chiamata che non avevo previsto, anche perché con la mia ragazza le cose andavano bene. Però la consapevolezza di essere amato in quel modo da Dio stava cambiando la mia vita, e ho percepito la necessità di dare a mia volta tutto quello che avevo. Ho capito che l’unico modo degno che avevo per amare fino in fondo, come sentivo di dover fare, non era donarmi totalmente a un’unica persona ma cercare di amare l’umanità – per quanto possibile – in una forma diversa, avendo la libertà di amare ciascuno». Una lettura che Enrico può dare oggi a distanza di alcuni anni, perché «in quel momento era tutto un po’ più confuso, le idee non erano così chiare, le cose da affrontare erano molte. Ci sono stati tanti momenti di crisi e di difficoltà notevoli, anche perché lasciavo qualcosa che conoscevo e che amavo per andare verso altre cose che non avevo capito ancora esattamente. Però l’intuizione iniziale che si era insinuata in me quasi come un dubbio ha trovato conferma nel tempo, dimostrandomi che il Signore è stato fedele fino in fondo in questo cammino ». Naturalmente anche per la sua ex fidanzata quel momento non è stato facile: «Da una parte ha vissuto questo mio passaggio con grande fede e libertà – dice Enrico –, dall’altra per certi tratti per lei è stato un dramma. Alla fine abbiamo capito entrambi che la cosa giusta da fare per volerci davvero bene in quel momento era fare un passo indietro per dare spazio a quello che il Signore aveva messo nel mio cuore, ma anche nel suo».

Il percorso tra i francescani, poi, si è aperto con un periodo detto “di accoglienza”, una prova per capire come Enrico si sarebbe trovato nella vita religiosa: «Tutto è stato molto graduale, rispettoso della mia crescita personale. Poi c’è stato un anno più “strutturato”, seguito da quello di noviziato, conclusosi con la professione semplice, che viene rinnovata ogni anno». Dalla vita di coppia alla vita in comunità, la prospettiva per fra Enrico oggi è completamente diversa da quella di cinque anni fa ma, ammette, «la bellezza della vita in convento sta nel camminare assieme a fratelli che, proprio come succede in famiglia, non si è scelto. La vita comunitaria è la nostra ricchezza, la nostra sfida e la nostra forza: è il luogo dove sento di essere cresciuto di più in questi anni». Ed è proprio nel modo di fare dei frati che il giovane religioso ha riconosciuto il tratto più affascinante del carisma francescano: «La loro semplicità e la loro genuinità mi hanno colpito e mi hanno coinvolto fino a farmi desiderare di diventare uno di loro». Di certo la storia di questa vocazione inaspettata è passata anche attraverso chi ha saputo rendere attuale e profetico il Vangelo con lo stile di san Francesco.

LE PUNTATE PRECEDENTI DEL NOSTRO VIAGGIO SULLE VOCAZIONI GIOVANI

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